Mentre cresce la protesta tibetana, il presidente cinese confessa di non cercare "interessi egoisti" nel rapporto con l'Asia del sud. A un incremento del commercio non corrisponde un'aumentata fiducia reciproca. Il mondo del business sembra apprezzare sempre più l'ambiente dell'India.
Mumbai (AsiaNews) Un dimostrante tibetano si è dato fuoco davanti all'hotel che ospitava Hu Jintao a Mumbai, nell'ultimo giorno della visita del presidente cinese in India.
Il dimostrante, di nome Lhakpa, si è versato addosso del kerosene e ha acceso il fuoco sui suoi vestiti, al grido di "Tibet libero" e "Hu è un assassino". La polizia indiana ha domato le fiamme sul corpo di Lhakpa che, con delle ustioni alle gambe, è stato portato all'ospedale. Lhakpa era insieme a un gruppo di esuli tibetani che chiedevano il ritiro dell'esercito cinese dal Tibet e accusavano la Cina di fare commercio con l'India a prezzo dei diritti umani.
Al di là di alcuni incidenti provocati da esuli tibetani, la visita di Hu si è svolta all'insegna della tranquillità, o della "tranquillizzazione".
Nei suoi discorsi il presidente Hu ha sottolineato il desiderio di Pechino a costruire rapporti politici basati sulla fiducia, stabilendo un'alleanza strategica che aiuti a fare del 21° secolo il secolo dell'Asia, migliorando i rapporti e gli scambi economici.
Parlando ieri ad un incontro con businessmen, politici e diplomatici egli ha confessato che "la Cina non persegue alcun interesse egoistico nell'Asia del sud ed è pronta a giocare un ruolo costruttivo nel promuovere la pace e lo sviluppo nel subcontinente". Hu ha anche detto che Pechino cerca relazioni armoniose con New Delhi, come amici e non come rivali: "I nostri piani di sviluppo non si escludono reciprocamente Le nostre economie sono complementari, possiamo costruire una sinergia per migliorare la competitività internazionale".
A suggellare la nuova partnership, Hu e il primo ministro Manmohan Singh hanno promesso di raddoppiare il loro commercio attuale, fino a 40 miliardi di dollari entro il 2010. Entrambi si sono ripromessi di risolvere al più presto le questioni dei confini (una parte dell'Arunachal Pradesh che la Cina rivendica; una parte della regione tibetana, rivendicata dall'India).
Nella popolazione e nel governo indiano rimane qualche sospetto. Anzitutto sulla politica marittima cinese: Pechino sta costruendo un porto per l'attracco di grosse navi sulla costa arabica del Pakistan; nello stesso tempo sta sviluppando porti per il Bangladesh, lo Sri Lanka e il Myanmar, come parte di una più stretta collaborazione economica e militare fra la Cina e tutti i vicini dell'India.
Un altro elemento di sospetto è il rapporto preferenziale della Cina col Pakistan, dove il presidente cinese si recherà entro stasera. Hu ha detto a Singh che il suo Paese vede con piacere il processo di pace fra Islamabad e New Delhi. Ma durante la sua visita in Pakistan è quasi sicuro che Hu firmerà un accordo di collaborazione e di assistenza per l'industria nucleare pakistana. Giorni fa gli Stati Uniti hanno approvato un accordo simile con l'India.
Pur con qualche similarità, le differenze fra i due Paesi rimangono grandi. Entrambi hanno una popolazione che supera il miliardo; entrambi hanno economie che corrono. Ma la Cina è alfabetizzata al 95% rispetto all'India, al 68%. Le esportazioni indiane sono valutate a 71 miliardi di dollari; quelle della Cina a 713 miliardi di dollari. Come ambiente favorevole agli affari, l'India ha il pregio di un uso diffuso della lingua inglese. Inoltre, l'India è un paese democratico, dove è importante il ruolo della legge; la Cina è una dittatura comunista segnata dalla corruzione dell'oligarchia al potere. Per questo alcune multinazionali stanno ormai deviando verso l'India parte dei loro investimenti (fino al 25-30%) un tempo indirizzati alla Cina.