Il velo: libertà di religione o colonizzazione islamica?
di p. Samir Khalil Samir SJ

Da domani inizia in Francia la discussione e la votazione della legge per proibire il velo islamico nelle scuole. I vescovi francesi hanno già notato che la legge rischia di essere un'affermazione di "laicismo" contro le espressioni religiose (la legge proibisce veli, ma anche croci, kippa, turbanti). La rivista "Mondo e Missione" di febbraio 2004  ha chiesto un'opinione al gesuita p. Samir Khalil Samir. Secondo p. Samir, grande studioso del mondo islamico, la battaglia per il velo è il tassello di un progetto "islamista" che rischia di sbriciolare l'identità socio-politica europea. Riportiamo qui l'intervento di p. Samir.


Settembre 1989. Nel collegio Gabriel Havez à Creil (Oise) tre ragazze di 14 anni (Samira, Leila e Fatimah) arrivano con il hijiâb (il velo musulmano). Il direttore cerca di convincerle a toglierlo. Niente da fare. Automatica l'espulsione, in nome della laicità della scuola, «La querelle sul velo» ha il suo inizio. La Francia stava commemorando il bicentenario della Rivoluzione (1789). Lionel Jospin, allora ministro dell'Educazione, non si pronuncia in merito. Il Consiglio di Stato lascia ai presidi la facoltà di decidere caso per caso, ma non considera l'atteggiamento delle ragazze incompatibile con la laicità, purché non ci sia atto di proselitismo. Nel 1994, la circolare Bayrou considera i «segni di ostentazione religiosa» elementi di proselitismo. Poi i casi si moltiplicano ovunque in Francia, sostenuti da associazioni islamiche. Seguono anche numerosi procedimenti giudiziari.

Ottobre 2003. A Aubervilliers, quartiere di Parigi composto dal  75 per cento di immigrati, due sorelle (Alma e Lila Lévy) sono cacciate via dalla scuola per aver rifiutato di togliere il loro hijiâb (non un semplice foulard). Il padre si dichiara ebreo ateo; la mamma che non vive con loro è algerina battezzata ma non credente. Il 14 ottobre a Thann (Haut-Rhin) una ragazzina di 12 anni è espulsa dalla scuola perché si rifiuta a togliere il hijiâb.

In questi 14 anni le rivendicazioni islamiche in Francia sono aumentate in modo esponenziale. Oramai il «cibo islamico» è preteso nelle scuole, gli ospedali, le prigione, l'esercito e sta diventando un fatto normale nelle mense. Il «velo islamico» si propaga in modo spesso aggressivo; talvolta è imposto alle adolescenti sotto la pressione di gruppi interni o esterni alla famiglia. Negli ospedali mariti e padri pretendono che mogli e figlie vengano curate soltanto da medici donne e infermiere. Nelle scuole si moltiplicano i giorni di assenza per motivi religiosi; cresce la richiesta di sospendere esami e lezioni per motivi di preghiera o di digiuno, le ragazze rifiutano la ginnastica e alcuni corsi di biologia o di scienze, oppure  rifiutano gli esami con un insegnante maschio. Alcuni comuni, su richiesta dei musulmani, hanno stabilito nelle piscine orari speciali «solo per donne». Luoghi di preghiera per musulmani (ma non cappelle per i cristiani) si diffondono in fabbriche ed altri luoghi, ecc.

Di fronte a questa situazione e ai numerosi dibattiti che suscita, il presidente della Repubblica ha incaricato Bernard Stasi, «mediatore della Repubblica» dal 1998, figlio d'immigrati italo-messicani, di presiedere la Commissione per la laicità composta da un gruppo di 20 saggi. Dopo 5 mesi di lavoro intenso, avendo ascoltato per molte ore ciascuno dei 120 rappresentanti di tutte le categorie e esaminato duemila lettere, la commissione ha esposto questa situazione : «La realtà che abbiamo scoperto è più grave di quanto ci aspettassimo: l'unità della Repubblica è in pericolo». E ancora : «Pensiamo che oggi la questione non sia più la libertà di coscienza, ma l´ordine pubblico. Il contesto è cambiato in pochi anni. Le tensioni e gli scontri negli istituti attorno a questioni religiose sono diventati troppo frequenti».

Perciò la commissione arrivava alla conclusione che qualsiasi segno religioso o politico «ostensibile» (velo, kippa, croce) dovesse essere vietato nelle scuole. Il 17 dicembre il Presidente Jacques Chirac annunciava l'intenzione di arrivare a legiferare in materia prima dell'estate 2004.

Molta gente, in Francia e soprattutto fuori di Francia, giudica questa decisione esagerata, non rispettosa della libertà di coscienza e di religione. I vescovi francesi si sono espressi contro una tale legislazione (forse perché temono che possa toccare le scuole cattoliche parificate).

In realtà, per chi conosce il mondo musulmano nelle sue sfaccettature, il problema oggi non è la libertà di coscienza (anche se non c'è dubbio che molte donne velate sono convinte nella loro scelta). Il problema è socio-politico. Che tipo di società si cerca? C'è un progetto «islamista» in corso, che mira ad affermare visibilmente la realtà islamica come diversa in tutto ma allo stesso tempo perfettamente legittima in Europa perché non opposta ai diritti dell'uomo. Chi si oppone a questo progetto è intollerante e razzista, perché non rispetterebbe le convinzioni religiose dei musulmani.

È lì che sta l'ambiguità. Questo progetto sottintende il fatto che una nazione è una comunità di comunità, ciascuna con le proprie norme. Se questo progetto è valido nelle realtà spirituali (di fatto è il fondamento dell'ecumenismo), non mi sembra possibile che venga realizzato nelle realtà socio-politiche. È comunque una posizione contraria alla tradizione della Francia, che ha sempre insistito sull'integrazione, non sulla giustapposizione.

Dietro il problema del velo, si profila la questione dell'integrazione degli immigrati, e in ultima analisi quello del modello di società che l'Europa si propone. Il velo è il simbolo di un desiderio separatista. Perciò mi sembra utile varare una legge che aiuti i musulmani a non alimentare questo atteggiamento.