Perché le Olimpiadi di Pechino non siano una farsa
di Bernardo Cervellera
A un anno dai Giochi la capitale e la Cina si preparano all’evento che li metterà al centro del mondo. Attenzione ai poveri, libertà e democrazia sono però i veri test di valutazione su quanto la Cina sta cambiando.

Roma (AsiaNews) - “We are ready”: a un anno esatto dall’inizio delle Olimpiadi, domani sera in piazza Tiananmen vi sarà la celebrazione ufficiale del conto alla rovescia. Circa 120 voci provenienti da Cina, Taiwan e Hong Kong, registreranno il canto composto appositamente per l’evento, che afferma con entusiasmo ingenuo che Pechino “è pronta” per i XXIX Giochi Olimpici.

Con un misto di gioco e superstizione, la cerimonia avverrà alle 8 di sera, come l’inizio dei Giochi (alle 8 dell’8 agosto 2008), dato che l’8 è il numero fortunato. Da piazza Tiananmen il Comitato Olimpico internazionale invierà gli inviti ufficiali a oltre 200 Comitati nel mondo per accoglierli a Pechino il prossimo anno.

In realtà, a un anno dal grande evento, la canzone “We are ready” (Siamo pronti) ha un sapore un po’ ironico: pesano ancora troppo gli scandali sulla sicurezza del cibo e i problemi di avvelenamento che potrebbero mettere ko gli atleti e soprattutto l’aria irrespirabile della capitale, ormai destinata a essere avvolta da una eterna cappa grigiastra di smog, che rischia di ridurre le prestazioni degli atleti.

Gli abitanti della capitale assistono attoniti alla distruzione dei quartieri storici del centro, dove antichi edifici dell’epoca Ming e Qing sono stati sventrati per far posto a nuovi edifici e alberghi, cacciando i residenti; sopportano il caos del traffico che giorno per giorno diventa più lento e affollato; vedono lievitare i prezzi degli alimenti e delle case; assistono impotenti all’edificazione di eleganti muri lungo le grandi arterie, per nascondere dietro di essi la miseria e la sporcizia degli hutong, le viuzze dove si svolge la vera vita degli abitanti, lontana dallo sfavillio degli alberghi a 7 stelle e delle mastodontiche costruzioni olimpioniche.

Molti pechinesi definiscono le Olimpiadi un vero e proprio “disastro nazionale”. Ma è chiaro che per la leadership è invece una occasione unica di mostrare quanto grande è ormai la Cina, capace di essere sotto gli occhi del mondo e al centro dell’interesse della comunità internazionale.

L’operazione di immagine sportiva e politica è così forte che – secondo alcune voci – dopo i Giochi, la leadership del Partito si sposterà da Zhongnanhai, vicino al Palazzo Imperiale, ai nuovi campus del Villaggio olimpico.

I Giochi sdoganeranno la Cina come Paese di amicizia internazionale. Finora Pechino è stata un luogo importante soprattutto per l’economia internazionale. Ma per essere un Paese “amico” bisogna che la Cina condivida non solo le regole dei Giochi, ma anche quelle per i diritti umani. Dal 1998 Pechino ha firmato le Convenzioni Onu sui diritti culturali, civili e politici, ma non ha ancora fatto alcun passo per assimilarle nella sua legislazione.

La Cina ha bisogno di essere Paese “amico” anche della sua popolazione. La stessa preparazione ai Giochi è segnata da violenze, soprusi, corruzione, imbavagliamento dell’opinione pubblica. C’è ormai bisogno di strutture di dialogo sociale e di democrazia. Senza questi importanti ritocchi, pur fra le sfavillanti strutture sportive, la Cina rischia di rimanere un Paese “paria”  e le Olimpiadi un’abominevole farsa, un nuovo “oppio dei popoli”.