Tutta l’Asia, tranne la Cina, al fianco della popolazione birmana
In tutto il continente asiatico si sono svolte proteste e manifestazioni contro la giunta. Quasi tutti i governi hanno chiesto al governo guidato da Than Shwe di interrompere il massacro della popolazione civile. All’appello manca soltanto Pechino, che chiede alle “due parti” di “abbassare i toni” della protesta.
Roma (AsiaNews) – Proteste, manifestazioni, richieste di intervento internazionale e pieno sostegno alla popolazione birmana. Tutti i governi e le popolazioni dell’Asia, tranne la Cina, si sono schierati a fianco della protesta guidata dai monaci buddisti ed hanno condannato la sanguinosa reazione della giunta militare guidata dal generale Than Shwe.
 
La protesta più sentita è senza dubbio quella dei giovani birmani residenti in Thailandia, che ogni giorno si incontrano davanti all’ambasciata del Myanmar a Bangkok per manifestare. Thad Ong, cattolico 21enne, dice ad AsiaNews: “Io e le mie due sorelle più giovani partecipiamo ogni giorno. Molti manifestanti sono studenti universitari: i birmani che lavorano qui hanno paura, perché temono di essere rimpatriati”.
 
Il giovane proviene dalla provincia settentrionale di Maehongsorn, a due ore di macchina dal confine thailandese: “Noi apparteniamo alla minoranza dei karen. Come tutti i cittadini birmani, vediamo la grande ingiustizia della dittatura militare, che dura da decenni. La giunta è ricca e potente, mentre la stragrande maggioranza della popolazione vive in povertà”.
 
Panithan Wattanyakorn, professore di Scienze sociali all’Università nazionale Chulalongkorn della capitale thailandese, spiega: “La popolazione birmana è composta da 135 gruppi tribali ed 8 grandi etnie, l’87 % del totale è di fede buddista. Quando la giunta ha colpito i monaci, ha colpito i cuori di tutti gli abitanti. Se il governo non trova il modo di risolvere la crisi economica che sta distruggendo il Myanmar, le proteste diverranno il seme di una nuova democrazia”.
 
Molto organizzata la protesta in Corea del Sud, dove organizzazioni non governative e gruppi cattolici hanno deciso di manifestare a favore della popolazione birmana ed hanno organizzato per oggi una raccolta di firme da presentare alle Nazioni Unite. Il centro della protesta è Gwangju, da dove era partita la rivolta popolare che nel 1988 aveva abolito la dittatura militare sudcoreana di Chun Doo-hwan.
 
Lee Su-man, presidente di un gruppo cattolico, spiega ad AsiaNews: “La situazione del Myanmar è identica a quella in cui si trovava la Corea. So che la giunta ha aperto il fuoco contro i manifestanti, e se potessi andrei in Myanmar per offrire tutto il mio sostegno a quella popolazione, che lotta per la democrazia”.
 
Una situazione simile anche nelle Filippine, dove la popolazione ha ricordato la dittatura del generale Marcos ed ha paragonato le marce silenziose dei monaci buddisti ai rosari sgranati dalla popolazione, guidata dal defunto card. Sin, contro il regime e le sue leggi anti-democratiche.
 
A Jakarta, capitale dell’Indonesia, sono stati i funzionari del ministero degli Esteri ad esternare la propria simpatia alla popolazione birmana. Circa 50 dirigenti del dicastero, con indosso una maglietta rossa, hanno osservato un periodo di silenzio e preghiera. Un dirigante, Umar Hadi, dice: “Preghiamo affinché la popolazione civile trovi preso la pace”. Oltre 20 persone hanno poi inscenato una breve manifestazione davanti all’ambasciata birmana, in cui finti soldati hanno simulato l’uccisone di veri monaci buddisti.
 
In India, grande partner commerciale della giunta birmana, un folto gruppo di rifugiati dal Myanmar ha chiesto al governo di intervenire “con ogni mezzo” per fermare il massacro in atto. A Delhi, monaci e civili hanno manifestato con cartelli inneggianti al leader democratico Aung San Suu Kyi ed hanno chiesto “libertà e giustizia” per i birmani.
 
In Malaysia, gli oltre 3mila esuli birmani che vivono nel Paese si sono dati appuntamento a Kuala Lumpur, dove ieri hanno manifestato per un giorno intero “contro la tortura, la dittatura e la soppressione dei diritti umani” in Myanmar. Il governo ha confermato che la manifestazione non era stata autorizzata, ma non è intervenuto “data la sua natura pacifica”.
 
Il leader d’opposizione della Cambogia, Sam Rainsy, ha guidato la protesta di un gruppo di democratici che, vestiti di rosso, hanno chiesto al loro governo di intervenire “contro la strage birmana”. Il ministro dell’Informazione di Phnom Phen, Khieu Kanharith, ha “condannato la reazione di Than Shwe alle pacifiche proteste della popolazione”.
 
Il governo di Singapore ha espresso “dolore e rincrescimento” per la gestione sanguinosa delle proteste, mentre il presidente di Taiwan, Chen Shuibian, ha raggiunto un piccolo gruppo di manifestanti anti-giunta ed ha espresso la sua vicinanza al popolo birmano.
 
All’appello manca soltanto la Cina, storico partner commerciale del Myanmar e “protettore” della giunta militare, che si è limitata a chiedere alle due “parti” , l’esercito e la folla, di abbassare i toni ed evitare di compiere gesti che possono mettere in crisi “la stabilità e il progresso” del Myanmar.