Per la Cina il Myanmar “migliora”, mentre i monaci denunciano torture
Nella dichiarazione adottata ieri il Consiglio di Sicurezza Onu “deplora” e non “condanna” i generali di Naypyidaw per ottenere il sì di Pechino. La Cina si limita ad augurare “buona fortuna” al popolo birmano, che continua a morire nelle carceri del regime. Detenuti rilasciati parlano di torture e maltrattamenti.
Yangon (AsiaNews) - “La situazione in Myanmar sta migliorando e prendendo una direzione positiva”. È il commento del portavoce cinese del ministero degli Esteri, Liu Jianchao, dopo l’adozione unanime ieri da parte del Consiglio di Sicurezza Onu della dichiarazione che “deplora fortemente” la repressione delle proteste per la democrazia nell’ex Birmania. Ma dal Paese buddista le notizie che arrivano parlano ancora di torture e arresti diretti contro manifestanti, attivisti studenteschi e gente comune.
 
La dichiarazione Onu
Per superare le reticenze della Cina il testo Onu - una cosiddetta “dichiarazione presidenziale” non vincolante - è stato edulcorato rispetto alla versione proposta da Francia,Usa e Gran Bretagna in cui si “condannava” la violenza usata dalla giunta birmana. E' la prima volta che il Consiglio di Sicurezza agisce ufficialmente nei confronti dell'ex Birmania. In precedenza Pechino aveva usato il diritto di veto per evitare critiche alle autorità del Paese.
 
I Quindici chiedono alla giunta il rapido rilascio di “tutti i prigionieri politici e gli altri detenuti” e un "dialogo genuino" (e non più la “liberazione”) con la leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi, attualmente agli arresti domiciliari.
 
La Cina non cambia
Ambienti diplomatici parlano di “cambio significativo” della politica cinese all’Onu, ma bastano le dichiarazioni ufficiali successive alla firma per capire che tutto rimarrà immutato. Liu Zhenmin, il vice ambasciatore della Cina al Palazzo di Vetro, augura ora “buona fortuna ai birmani…è a loro che spetta un contributo alla soluzione della questione”. Pechino, ha poi aggiunto il diplomatico, “appoggia il governo del popolo del Myanmar e l'imminente missione di Ibrahim Gambari”. Questo partirà nel fine settimana per un tour in Asia (Thailandia, Malaysia, India, Cina e Giappone) che terminerà proprio nella ex Birmania.
 
Ma al “popolo birmano” non è data possibilità di far sentire la sua voce senza rischiare la vita. Citando sue fonti anonime, ieri il quotidiano The Irrawaddy denunciava torture e abusi contro i membri del movimento “Studenti della generazione 88” e altri detenuti da fine agosto nel centro interrogatori del famigerato carcere Insein, a Yangon. Alcuni muoiono in carcere altri versano in ospedale in condizioni gravissime. Stessa sorte spetta ai monaci buddisti arrestati a settembre nelle marce pacifiche contro il regime. Il monaco U Sandar Vaya, 33 anni, è stato in prigione insieme ad altri 500 religiosi e 200 civili ammassati in una stessa stanza dell’Istituto statale di tecnologia a Insein. Scarcerato, racconta di “mancanza di cibo e acqua, terribili condizioni igieniche e un caldo insopportabile”. Un monaco anonimo ha raccontato invece di avere visto “morire di stenti la gente accanto a me e i cadaveri venivano lasciati a terra per ore”.