I generali mettono fine al coprifuoco, non alla repressione
E’ finito il coprifuoco in grandi città: sollievo ma molta paura nella popolazione. Intanto migliaia di monaci e dissidenti rimangono in carcere. Gambari è in India dove cerca, con poche speranze, un sostegno per le sanzioni economiche. La giunta propone “colloqui” ad Aung San Suu Kyi.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) – L’inviato Onu Ibrahim Gambari si è incontrato oggi a New Delhi con il segretario indiano agli Esteri Shiyshankar Menon per discutere la situazione in Myanmar. Intanto è terminato il coprifuoco in Myanmar, ma la vita non riprende normale.

Gambari incontrerà anche Pranab Mukherjee, ministro indiano per gli Affari esteri, e il premier Manmohan Singh, per chiedere sostegno alle sanzioni contro il Myanmar per costringere la giunta militare a cessare la dura repressione in atto da settembre contro monaci buddisti e oppositori. Le sanzioni internazionali hanno avuto scarso effetto proprio perché non vi partecipano gli Stati asiatici principali partner commerciali della giunta. Ma Delhi ha grande interesse al gas birmano e teme di essere estromessa a vantaggio di Pechino. Durante il massacro, l’India ha inviato in Myanmar il ministro per il petrolio per discutere di energia e ha confermato che parteciperà allo sviluppo di un porto nella Birmania nordoccidenrale.

Gambari è già stato in Indonesia, Thailandia e Malaysia e volerà poi in Cina e Giappone.

Intanto a Yangon e a Mandalay è finito il 20 ottobre il coprifuoco notturno, anche se i soldati ancora presidiano le vie. Washington ha commentato che questo è “un brutto segno” perché significa che la giunta ritiene di avere debellato ogni protesta. La popolazione ha accolto la fine del coprifuoco con sollievo, ma tutti concordano che la situazione rimane grave. Il gestore di un locale pubblico per il tè è contento “perché con il coprifuoco ho dovuto chiudere alle 9 di sera e ho avuto davvero pochi clienti”. I negozi di tè sono molto frequentati la sera dai birmani, che non possono pagarsi il ristorante. Ma la popolazione è preoccupata: una casalinga di 55 anni spiega che vorrebbe andare alla Pagoda Shwedagon, principale tempio buddista di Yangon e abituale ritrovo dei dimostranti, ma ha ancora troppa paura per farlo.

Sono stati rilasciati alcuni detenuti, ma fonti diplomatiche dicono che migliaia restano prigionieri, come pure resta ignota la sorte di migliaia di monaci. E’ stato anche ripristinato l’accesso a internet, sospeso durante il massacro. Ma sono vietati i media esteri.

Ieri il generale Than Shwe, capo della giunta, ha proposto alla leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi, da 17 anni agli arresti, di iniziare colloqui, ma ha posto la condizione che lei tolga il suo sostegno alla sanzioni economiche contro il Paese. Da anni la Suu Kyi ha chiesto agli investitori esteri di boicottare il Paese, per porre pressione ai militari che si avvantaggiano per i commerci mentre la popolazione muore di fame.