Ditte coreane: produrre lusso, unica strada per guadagnare in Cina
Le industrie coreane in Cina hanno abbandonato la produzione per il mercato mondiale e si sono convertite al mercato del lusso, anche se di qualità scadente. La Cina è divenuta infatti un luogo dove vendere, non più dove investire.

Shanghai (AsiaNews) – Quando ha aperto il primo negozio a Huaihai Zhong Lu, lussuosa strada commerciale del centro di Shanghai, molti suoi compatrioti hanno scosso la testa: affitti troppo alti, merce troppo dozzinale, giro d’affari limitato. Eppure, la scelta di Woo Hyeok-jin - direttore della catena coreana Lock & Lock – si è rivelata vincente: per sopravvivere al mercato cinese, bisogna buttarsi sulla vendita di beni di lusso, anche se di qualità scadente.

E’ la ricetta adottata dalle industrie coreane in Cina, che hanno deciso di rimanere per non perdere i giganteschi investimenti fatti negli anni ’80, ma che non possono più permettersi di dedicarsi alla produzione industriale, dati gli altissimi costi che ormai comporta la scelta di gestire industrie straniere su suolo cinese (per maggiori particolari, clicca qui).

Woo l’ha capito, e racconta: “Dopo essere stati costretti a diversificare il prodotto, ho pensato che il mercato cinese – sempre più composto da nuovi ricchi – era pronto per negozi di articoli di lusso di marca straniera. I primi tempi sono stati duri, ma in un anno il mio primo negozio ha fatturato quasi un milione di euro. Adesso ci stiamo espandendo, forse in altre città del sud”.

Non importa che il prodotto sia realmente di lusso: quello che conta è il marchio, e come viene sponsorizzato. Per molti cinesi, ad esempio, Under Look è sinonimo di qualità "made in Korea": invece, questo nome esiste soltanto in Cina, ed i suoi prodotti non sono di “qualità eccelsa” , pur essendo pubblicizzati dai giornali commerciali di Shanghai.

Lim Yeong-cheol, amministratore delegato della compagnia, si è trasferito qui nel 1994 per produrre a basso costo intimo maschile da mandare in Corea e Giappone, ma 5 anni dopo ha capito che il mercato stava cambiando: “Mantenendo la stessa catena di produzione, abbiamo fatto un buon lavoro di marketing ed ora siamo una realtà da 6 milioni di euro l’anno, grazie ai nuovi miliardari di Shanghai e Guangzhou che ci adorano. Ora siamo pronti per farci conoscere in tutto il Paese, o almeno lì dove c’è ricchezza”.

Jeong Chi-hwan, amministratore della SG Korea, è stato un pioniere in questo campo, ed ha indicato la strada della sopravvivenza all’economia cinese. Nei primi anni ’90 ha deciso di investire nel mercato tecnologico locale (di bassa qualità), ma lo ha dipinto come “il risultato dell’eccellenza internazionale”. I suoi prodotti vanno a ruba nella nuova classe dirigente cinese, che li considera degli status symbol.

Jeong, che in patria è quasi un eroe, conclude: “Produrre qui in enormi quantità, per il mercato mondiale, non conviene più: per quello ci sono i Paesi del Sud-Est asiatico. Il vero capitale della Cina è il suo nuovo mercato di ricchi e la sua continua mutazione. Soltanto con un approccio camaleontico si può prendere il meglio da questa gente, che ha soldi da spendere ma nessun gusto”.