Profughi iracheni in Libano: o il carcere o il rimpatrio
Human Rights Watch denuncia la politica di Beirut: il rifiuto di concedere uno status legale anche temporaneo, non permette agli iracheni di trovare lavoro o mandare i figlia scuola. Le autorità libanesi impongono solo due scelte: la galera o il rientro in Iraq, dove li attende la morte. Intanto Baghdad avverte: non siamo pronti a gestire un massiccio flusso migratorio di ritorno.
Beirut (AsiaNews) – Le autorità libanesi rifiutano di concedere uno status legale, anche solo temporaneo, ai profughi iracheni, davanti ai quali si prospettano solo due scelte: o la prigione o il rientro in Iraq. È la denuncia contenuta nel rapporto di Human Rights Watch pubblicato oggi con il titolo: “Marcire qui o morire laggiù”. “Gli iracheni profughi in Libano vivono nel terrore costante del carcere – spiega Bill frelick, direttore per le politiche dell’emigrazione di HRW – chi viene arrestato può evitare di rimanere dietro le sbarre a tempo indefinito solo se accetta di rimpatriare”. Ma il rientro per molti significa una morte assicurata.
 
Tutti gli iracheni fuggiti nei Paesi mediorientali sono generalmente riconosciuti come rifugiati dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR). Ma il Libano non aderisce alla Convenzione Onu sui rifugiati del 1951 e quindi il riconoscimento dell’UNHCR non ha valore legale nel Paese dei cedri. Risultato di questa politica – aggiunge HRW – è che senza uno status legale gli iracheni non possono trovare un lavoro e quando lo trovano sono sfruttati; finiscono per spendere subito tutti i loro risparmi e sono costretti a far lavorare in qualche modo anche i figli per contribuire alla sussistenza della famiglia, impedendo così ai bambini di andare a scuola.
 
Secondo l’UNHCR i profughi iracheni sono circa 4 milioni, di cui circa la metà interna al Paese. In  Libano sono tra i 40mila e i 50mila. Senza contare la presenza di 250mila-300mila profughi palestinesi.
 
Nelle ultime settimane si è assistito a massicci rientri in Iraq soprattutto dalla Siria, incoraggiati da incentivi economici concessi dal governo di Baghdad. La Mezzaluna rossa ha parlato di 25mila rientri tra il 15 settembre e il 30 novembre. Ma secondo l’Onu molti sono spinti solo dalla disperazione e non da un’effettiva fiducia nel miglioramento della sicurezza. Lo stesso governo iracheno ieri ha messo le mani avanti. Non siamo in grado di gestire un rimpatrio di massa – ha detto il ministro per l’Immigrazione, Abdul-Samad Rahman – la percentuale di chi torna non è bilanciata al livello di sicurezza, che seppur migliorato non è ancora completo.
 
L’UNHCR ha annunciato aiuti per 11,4 milioni di dollari destinati alle più vulnerabili famiglie dei profughi rimpatriati e chiede altri 200 milioni di dollari a sostegno dei governi mediorientali ospitanti.