Si chiude il caso Munir, 20 anni all’ex pilota della Garuda
di Mathias Hariyadi
Pollycarpus Priyanto era l’unico imputato per l’avvelenamento del noto attivista indonesiano Munir, ucciso nel 2004. Un anno fa era stato prosciolto dalle accuse a suo carico, ma l’estate scorsa il caso era stato riaperto sulla base di nuove prove che chiamavano in causa i servizi segreti.
Jakarta (AsiaNews) – La Corte Suprema indonesiana chiude la lunga inchiesta sull’omicidio del noto attivista per i diritti umani, Munir Thalib. I giudici, ribaltando una precedente sentenza,  condannano in via definitiva a 20 anni di detenzione l’ex pilota della Garuda, Pollycarpus Priyanto, colpevole di aver avvelenato l’uomo, mentre era in viaggio tra Jakarta e Singapore nel 2004.
 
Munir era un personaggio scomodo in Indonesia: aveva denunciato il coinvolgimento dei militari nella repressione a Timor est, ed era stato nominato nel 1999 membro di una commissione d'inchiesta dell'Onu sulle violazioni dei diritti umani nell'ex colonia portoghese occupata da Jakarta.
 
In questi anni il caso è stato molto seguito dalla stampa indonesiana e internazionale. Pollycarpus, dopo la lettura della sentenza di colpevolezza, si è detto un “capro espiatorio”, vittima di una “campagna mediatica montata” contro di lui. L’uomo, un cattolico che ha vissuto tra Papua e Timor est, continua a respingere le accuse.
Nel dicembre 2005 il tribunale distrettuale di Jakarta centrale aveva condannato il pilota a 14 anni di detenzione come esecutore del delitto e per "falsificazione di documenti". Nel 2006 l'Alta Corte di Jakarta stabilisce che non ci sono prove sufficienti per la responsabilità dell'assassinio, ma conferma i due anni di carcere per la falsificazione di documenti. Sentenza poi ribadita anche dalla corte Suprema. Fino a che nel luglio 2007 il procuratore generale di Jakarta non riapre il caso sulla base di nuove prove e testimoni, tra cui l’ex presidente della compagnia area, Indra Setiawan, e un agente dell’intelligence nazionale, Raden Muhammad Patma Anwar. Sono in molti gli attivisti che continuano a puntare il dito sui servizi segreti indonesiani come reali mandanti dell’assassinio.