Iraq, il terrorismo corre con le gambe dei bambini
di Layla Yousif Rahema
Dopo la diffusione del video con l’addestramento di bambini per al Qaeda, torna sotto i riflettori il problema dell’infanzia negata in Iraq. Non solo i qaedisti, ma anche le milizie religiose “arruolano” bambini. Quello economico è solo l’ultimo dei moventi che spinge i piccoli ad imbracciare i fucili. Nel Paese la cultura delle armi e della violenza ha radici profonde.
Baghdad (AsiaNews) – Povertà, ignoranza, la seduzione di sentirsi invincibili, il desiderio di adempiere la volontà di Allah e finalmente diventare adulto. I moventi che spingono i piccoli iracheni tra le fila di al Qaeda e delle milizie settarie sono molteplici, ma tutti spiegabili in sostanza con la radicata cultura della violenza e delle armi che in Iraq si è diffusa molto prima dell’invasione americana del 2003. Qaedisti e milizie sunnite e sciite fanno leva su questo e basta poco perché un bambino si ritrovi ad imbracciare un fucile ed inscenare rapine e sequestri come nell’ultimo video di al Qaeda in Mesopotamia, reso pubblico due giorni fa.
 
Povertà e ignoranza
Il movente più banale è sicuramente il ritorno economico. Per piazzare una bomba oggi al Qaeda pagherebbe un bambino tra i 200 e i 300 dollari, cifra che permette di sfamare una famiglia di almeno cinque persone per due o tre mesi. Secondo fonti militari irachene e statunitensi, sarebbero invece minori le ricompense delle milizie religiose: 35 dollari per consegnare un pacco bomba. Il più delle volte si tratta di bambini delle classi sociali medio basse, che hanno smesso di andare a scuola, per povertà o per mancanza di sicurezza. Secondo dati del ministero iracheno dell’Istruzione, nel 2007 solo il 30 per cento dei 3,5milioni di bambini in età elementare frequentano la scuola.
 
La seduzione della guerra
Per chi poi ha visto uccidere un genitore o un parente, la guerra rappresenta una forte seduzione, un modo per affermarsi in mancanza di alternative. “Sono grato all’Esercito del Mahdi (milizia sciita di al Sadr, ndr) perché mi ha reso un uomo”, dice Ali, 14 anni sciita, citato in un articolo di Newsweek. I militanti islamici sono gli uomini più forti nel loro mondo fatto di terrore. E qui gioca un ruolo decisivo il richiamo religioso: quando un adolescente sente la sua guida spirituale chiedergli di fare un’azione “in nome di Dio”, avverte che obbedendo lascia la vita da bambino per diventare un adulto in grado di compiere la volontà do Allah.
 
La cultura della violenza
Ma dietro ogni baby terrorista c'è soprattutto il profondo problema di una società cresciuta in stato di guerra e terrore. Che affonda le sue radici già a prima del 2003. “Quando ero al quinto anno della scuola superiore – ricorda Yousef, un giovane venticinquenne di Baghdad ora emigrato in Europa – ci obbligavano ad allenarci nell’uso delle armi dopo le lezioni e chi non partecipava veniva denunciato ai rappresentanti del partito Baath che erano nell’istituto”. “I bambini ormai giocano alla guerra come con le bambole o le macchinine”, denunciano alcuni genitori iracheni. Tanto vasta è la diffusione di armi-giocattolo per le strade, che il governo l’anno scorso aveva espresso “preoccupazione” a riguardo, senza però attuare misure concrete. Un commerciante di Baghdad racconta che “i fucili giocattolo sono l'articolo di gran lunga più venduto sia per i bambini che le bambine”. Vivendo in un contesto in cui la violenza è “addirittura lodata” – spiegano esperti di sociologia – l’adolescente è convinto che con l’uso delle armi può farsi un nome, una reputazione e questo lo fa sentire forte, invincibile.