Ching Cheong: “In carcere, solo, ho anche pensato al suicidio”
Il giornalista Ching heong racconta per la prima volta i suoi quasi 3 anni in carcere. Condannato senza prove per “spionaggio a favore di Taiwan” e rilasciato in anticipo grazie alle molte richieste. Ha trovato conforto nella preghiera e nella lettura di testi religiosi e mistici.

Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) – “Sono anche caduto in una spirale depressiva, [convinto] che il modo di finire tutto fosse il suicidio”. Il giornalista Ching Cheong racconta la sua vita da detenuto, per la prima volta dopo il rilascio il 5 febbraio.

“Quando sono state arrestato e ammanettato,  quando la porta della cella si è chiusa con un tonfo – racconta al South China Morning Post – mi si è spezzato il cuore”. “Mi sono sentito tradito da tutti i valori che ho sempre perseguito, come il patriottismo, l’onestà e l’equilibrio morale”.

Il giornalista di Hong Kong è stato arrestato nell’aprile 2005 per “spionaggio a favore di Taiwan”. E’ stato condannato a 5 anni di carcere: avrebbe confessato di aver venduto informazioni militari a Taiwan e di aver messo in piedi una rete di spionaggio per “vendere segreti di Stato” all’estero. Ma lui ha sempre negato l’accusa e la nega tuttora. Nel novembre 2006 la condanna è confermata, al termine di un processo durato un giorno in cui non sono state prodotte prove d’accusa. Dissidenti dicono che l’arresto sia invece collegato alla sua ricerca su Zhao Ziyang, segretario del Partito ai tempi delle rivolte pro-democrazia, e sul massacro di Tiananmen nell’89.

In carcere a lungo è stato solo e presto si è stancato di scrivere e di preparare la difesa. Poi ha trovato forza nella meditazione e nella preghiera. “Ho chiesto a Dio – dice – di aiutarmi a conservare la salute, la forza di volontà e la fede, ad affrontare le difficoltà” in attesa di tornare libero. Ha letto la Bibbia, i classici buddisti e l’antico testo cinese “I Ching”. Ha anche cercato di tenersi informato delle notizie “di fuori”.

Il suo giornale e gli amici si sono battuti per il rilascio, che è arrivato dopo che ha scontato circa metà della pena.

Ching crede ancora nel suo Paese e nella possibilità di migliorarlo. Cita un verso di Lin Zexu, funzionario patriota della dinastia Qing: “Farò tutto quanto occorre per servire il mio Paese, anche a costo della vita, senza riguardo a quanto è meglio o peggio per me”. Questo – dice - “è proprio quello che lega il cuore mio e dei miei amici”.