A Ulaan Baatar, insegnando inglese per parlare di Dio
Suor Zarraga, per 12 anni in Mongolia, racconta come è iniziata la missione cattolica nel Paese. Periodi di solitudine, in un Paese così diverso, ma ricco di tanti incontri. E di cura per i più deboli.

Ulaan Baatar (AsiaNews/Ucan) – Quando le quattro suore dell’Immacolato cuore di Maria (Icm) sono arrivate in Mongolia nel 1995, c’erano solo alcuni sacerdoti venuti nel 1992. Dopo 12 anni di missione e in procinto di tornare nelle native Filippine, suor Nellie Zarraga ha raccontato ad UCA News la sua esperienza.

La missione cattolica in Mongolia è iniziata nel 1992 con l’arrivo di tre sacerdoti dell’Icm. Uno di loro, padre Wenceslao Padilla, 11 anni dopo è diventato vescovo e regge la Prefettura apostolica di Ulaan Baatar, che oggi ha 64 missionari di 19 Paesi, nonché 6 missionari laici. I 415 cattolici locali (su 2,8 milioni di abitanti) sono raccolti in quattro parrocchie e 6 centri missionari.

Suor Zarraga racconta che “la gente desiderava imparare l’inglese. Per cui abbiamo creato classi serali di inglese, per incontrare la gente. A Natale, dopo la lezione, siamo uscite e abbiamo offerto qualcosa da mangiare e da bere alla gente in strada. I nostri studenti mongoli non lo avevano mai visto fare. Si sono stupiti”. “La scuola d’inglese – prosegue – è stato il punto di partenza. Un proverbio mongolo dice: ‘Senza conoscenze, il tuo mondo è grande come il palmo della tua mano’. Il nostro mondo è diventato sempre più grande. Padre Wens (mons. Padilla) ha incontrato molta gente. Con un maestro d’asilo ha concordato di insegnare l’inglese a maestri e bambini dell’asilo”.

Dopo qualche anno, “suor Lieve (Straiger) insegnava i lavori a maglia, suor Marife (Sebial) inglese e io sono stata invitata all’ospedale mentale, Sharhad, da Christina Noble”, una irlandese che ha fondato orfanotrofi in molti Paesi. “Sono rimasta attonita: tutti i bambini erano in una sola stanza e le infermiere non facevano nulla, li guardavano soltanto. Urangoo, un cattolico mongolo, e io abbiamo cominciato a lavorare con i bambini con problemi e abbiamo scoperto Maant, un altro ospedale psichiatrico. Nel 2000 padre Wens ha invitato i Fratelli della Carità di Gandt (Belgio). Sono tornati ogni anno portando dottori ed esperti e insegnando ai medici mongoli a Sharhad. Hanno insegnato terapia, sviluppo fisico, arte-terapia e hanno organizzato classi per pazienti psichici.”

Non sono mancate le difficoltà. “A Maant il direttore ha sottratto i fondi. Il Dipartimento per i bambini del ministero per la Salute ha riconosciuto che lì su 180 persone ne morivano 35-45 l’anno. Abbiamo anche cercato di insegnare al personale. Ma poi l’ospedale è stato chiuso. I pazienti sono stati portati a Sharhad.”

“Gli handicappati mentali – spiega – sono le persone più deboli ed emarginate. Non possono nemmeno prendersi cura di se stessi, hanno bisogno dei genitori e della società”. Ma molti sono figli di alcoolisti o vivono in strada dalla nascita e nessuno se ne occupa. Per questo loro hanno aperto il “Centro arcobaleno” che si occupa di questi bambini, e poi “sono sorti altri centri. E’ ancora davvero poco rispetto alle necessità”.

Richiesta di quale sia stata la maggiore difficoltà, non ha dubbi: “l’intensa solitudine”, “tagliate fuori dalle nostre comunità”, solo loro, i sacerdoti e “un piccolo gruppo di suore coreane, che non parlavano inglese. Ma eravamo pronte. Il Natale è stato davvero un periodo di solitudine”. “Ma abbiamo imparato a tornare a Dio senza tutte le cose frivole che in genere ci attorniano. E’ stato come quando fai il digiuno, solo Dio e te”.