Paura nei villaggi birmani: la mano dei militari per il sì al referendum
Continua a fare proseliti la campagna per il “no” alla nuova Costituzione dei generali. Ma fuori dai centri urbani la disinformazione sul voto terrorizza la gente: si teme che su ogni scheda possa essere registrato il numero della carta di identità e collegare le preferenza ad ogni elettore.
Yangon (AsiaNews) – I militari al potere in Myanmar stanno facendo di tutto per convincere la popolazione a votare “sì” nel referendum costituzionale previsto per maggio prossimo. Nonostante le minacce o le false promesse elettorali, i cittadini sono convinti di volersi esprimere per il “no” in modo da non legittimare con un voto favorevole un governo che disapprovano in modo totale. A raccontare il clima nelle città e nei villaggi birmani sono alcuni elettori contattati da AsiaNews, e che hanno chiesto l’anonimato.
 
Nelle città il “no” alla Costituzione dei generali fa sempre più proseliti, ma nelle campagne vi è paura. “I soldati – racconta un uomo alla periferia di Mandalay – girano casa per casa o fanno pressione sui capi villaggio per convincere la gente per il sì”. L’ultimo stratagemma della giunta per assicurarsi una maggiore affluenza alle urne è stato rilasciare carte di identità temporanee valide giusto il tempo di recarsi ai seggi. In molti infatti, soprattutto nei gruppi delle minoranze etniche e religiose non possiedono documenti di identità, senza i quali non si ha diritto a votare; così le autorità hanno optato per dei documenti provvisori, che tra un mese non varranno più.
 
Il mistero e la disinformazione sul referendum che deve approvare la nuova Costituzione del Myanmar è totale. “I militari – dice una donna anziana – ci hanno detto che sapremo la data del voto solo con 21 giorni di anticipo e in più nessuno sa che testo andremo a votare; se chiedi dove si può comprare o avere il documento, gli ufficiali ti ridono in faccia”. Anche sulle modalità di voto nessuno sa niente nei villaggi e la gente ha paura che nei seggi gli scrutinatori chiedano di apporre sulla scheda anche il numero della carta d’identità così da risalire ai singoli elettori e magari fargliela pagare in seguito, se hanno posto la croce sul “no”.
 
A Yangon e Mandalay la campagna promossa da attivisti per la democrazia, studenti, monaci buddisti e dissidenti continua. Sulle mura di alcuni hotel o luoghi pubblici si leggono grandi “no” scritti con lo spray e nei giorni scorsi una piccola manifestazione nella ex capitale ha raccolto un gruppo di 30 persone che indossavano la t-shirt con il “no”. In risposta la giunta militare aumenta i controlli. Abitanti dei centri urbani raccontano di numerosi check point per la strada e di sempre più soldati che girano armati di fucili.