Il Papa all'Onu, i diritti umani e la libertà religiosa
Janne Halaand Matláry, ex vice-ministro degli Esteri in Norvegia, attualmente membro del Pontificio consiglio giustizia e pace, in un’intervista a Mondo e Missione afferma che siamo in un momento particolarmente propizio per promuovere i diritti umani.
Milano (AsiaNews) - Alla vigilia del discorso del Papa all’Onu, che si annuncia incentrato sul tema dei diritti umani, Janne Halaand Matláry – in un’intervista a Mondo e Missione – rilancia la questione decisiva della libertà religiosa, come fondamentale diritto della persona, chiamando in causa la politica. E lancia una stoccata all’Europa: abbiamo molto da imparare dagli Usa quanto a tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, a partire da quelli religiosi.
 
“Non siamo mai stati in una situazione politica migliore di oggi per promuovere i diritti umani e la libertà religiosa. Ora tutti i governi parlano di diritti umani: persino Cina e Cuba lo fanno! Questo è il momento di porre la questione con forza: Onu, ong, gruppi di pressione, Chiese devono agire. Ad esempio, i musulmani che oggi arrivano in Europa godono di libertà religiosa, possono costruire moschee e scuole; i cristiani devono chiedere lo stesso quando si recano nei Paesi a maggioranza islamica”.
 
Lo afferma con convinzione - in un’intervista sull’ultimo numero di Mondo e Missione, mensile del PIME - Janne Halaand Matláry, ex vice-ministro degli Esteri in Norvegia (dal 1997 al 2000), oggi tornata agli studi di Political affairs all’Università di Oslo. Per la sua competenza e la sua sensibilità cattolica la studiosa scandinava è stata chiamata in più occasioni dalla Santa Sede a far parte del proprio staff diplomatico in missioni particolarmente delicate, come la Conferenza Onu sulla demografia al Cairo del 1994 e quella sulla questione femminile l’anno seguente a Pechino.
 
Membro del Pontificio consiglio giustizia e pace, ha da poco dato alle stampe un volume, Diritti umani abbandonati? La minaccia di una dittatura del relativismo (Eupress - Facoltà teologica di Lugano) corredato da una bibliografia a firma dell’allora cardinale Joseph Ratzinger.
 
Nell’intervista a Mondo e Missione (all’interno di uno speciale dal titolo “Diritto di credere, diritto di vivere. La libertà religiosa sfida la politica”), la Matláry si sofferma sul tema della libertà religiosa mettendo a confronto l’atteggiamento degli Stati Uniti e quello dell’Europa. “Alcune nazioni, come gli Stati Uniti, si preoccupano molto di questo tema e lo mettono in agenda a diversi livelli politici, anche nel corso dei propri dialoghi diplomatici. In Europa, invece, c’è un interesse medio su questo argomento. In particolare, i governi a guida socialista sono molto poco interessati alla libertà religiosa perché non dimostrano una propensione positiva al fatto religioso in sé”.
 
Non siamo in presenza di un’iniziativa di tipo confessionale, anzi. “La battaglia per la libertà religiosa – precisa Matláry – non è per nulla una questione cattolica o cristiana. Il diritto umano di essere liberi nel professare una fede è fra quelli fondamentali perché, come dice la Dichiarazione Onu, è inerente alla natura umana. È’ un dato di fatto storico, però, che è stata la Chiesa cattolica a sviluppare, nel corso dei secoli, il tema della legge naturale. Anche Papa Benedetto XVI lo sostiene nella sua enciclica Deus Caritas Est”.
 
Anche la società civile – sottolinea Matláry – deve prendere di più a cuore il tema della libertà religiosa: “Il bisogno religioso è insopprimibile nell’uomo. Molte ong purtroppo non hanno a cuore il tema della libertà religiosa come invece altri diritti umani, quali la libertà di stampa o di espressione. Tutto questo è un riflesso dell’indifferenza occidentale verso l’elemento religioso”.
 
In conclusione: perché la questione della libertà religiosa diventi una preoccupazione dei governi c’è bisogno che sia assunta con forza da tutti gli attori: politici, Chiese, mass media… “Occorre conquistare l’attenzione dell’opinione pubblica e fare pressione sui governi. Bisognerebbe lanciare una campagna internazionale su questo tema con il coinvolgimento di opinion leader, come è avvenuto per la pena di morte. Quando c’è pressione internazionale le cose cambiano, pensiamo all’apartheid in Sudafrica”.