La torcia passa da Jakarta, evitando la folla
Per evitare proteste e per il rischio di scontri tra gruppi anti e pro-Cina, la folla è tenuta lontana dal percorso olimpico, ridotto a pochi chilometri nel complesso dello stadio cittadino davanti a un pubblico selezionato. Intanto in Tibet la Cina continua a “mischiare” religione e politica.

Jakarta (AsiaNews/Agenzie) – Anche in Indonesia la torcia olimpica ha corso, oggi, sotto l’attento controllo della polizia (impegnati circa 2.500 poliziotti e 1.000 militari) e davanti a un pubblico selezionato, lontana dalla folla per timore di nuove proteste anticinesi.

Nei giorni scorsi ci sono stata ripetute manifestazioni pro-Tibet davanti all’ambasciata cinese a Jakarta. Oggi la polizia ha fatto cessare piccole proteste pacifiche vicino lo stadio Bung Karno (dal nome dell’ex presidente Sukarno) e arrestato almeno 8 persone. Gruppi per la tutela dei diritti lamentano che le proteste erano autorizzate. La polizia ha voluto anche prevenire scontri con la nutrita comunità cinese della città, in buona parte orgogliosa per il passaggio della torcia.

La torcia doveva correre per 20 chilometri nell'intera città, ma “per ragioni di sicurezza” il percorso è stato limitato a pochi giri nel complesso dello stadio e il viaggio èavvenuto quasi in sordina. Alla cerimonia finale sono state ammesse solo circa 5mila persone con biglietto, compresi i media.

Ormai per chi ospita la torcia il problema essenziale è fare in fretta ed evitare proteste, con il motto di “non mischiare lo sport con politica, razza o religione”, come ha ripetuto ieri Rita Subowo, presidentessa del Comitato olimpico indonesiano.

Ieri la torcia è stata in Malaysia e la polizia ha stroncato qualsiasi manifestazione pro-Tibet e arrestato almeno 5 persone, tra cui una coppia con il figlio di 5 anni che hanno sventolato una bandiera tibetana al passaggio della torcia. La torcia volerà poi a Canberra, dove la polizia è già in stato d’allerta.

Intanto ieri, nel Tibet ancora vietato a turisti e giornalisti, è iniziata una “campagna di rieducazione” per rinsaldare i rapporti tra i tibetani e il Partito comunista. E’  obbligatoria per i membri del Partito, che  parteciperanno alla visione comune di programmi televisivi ed a sessioni di auto-critica e denuncia organizzata. Nei monasteri, ai monaci sarà “chiesto” di sconfessare il Dalai Lama e dichiarare la piena fedeltà a Pechino.