Banca asiatica per lo sviluppo: non c’è alcuna scarsità di cibo
La Banca dice che è solo un problema di “cattiva distribuzione” dei raccolti e invita i governi a togliere i divieti d’esportazione. Ma la Fao teme di dover sospendere aiuti a milioni di persone, senza nuovi fondi. La situazione in Cina, India e Pakistan.

Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) – La crisi alimentare in Asia è meno grave di quanto molti governi ritengono e può essere affrontata con maggiori sussidi per le famiglie meno abbienti e una più oculata politica agricola. Rajat Nag, direttore generale della Banca asiatica per lo sviluppo, attribuisce il forte aumento del prezzo del riso anche a fattori esterni, come l’aumento dei redditi della popolazione asiatica, gli alti costi del carburante, i cambiamenti climatici e le terre non sfruttate.

In pochi  mesi il prezzo del riso è più che raddoppiato: quello della Thailandia, primo esportatore mondiale, è giunto a 950 dollari la tonnellata, mentre ne costava 383 all’inizio del 2008. Nag è convinto che “è finita l’era del cibo a buon mercato”, ma ripete che “non siamo di fronte a una carestia. Soltanto, i raccolti spesso non sono dove sarebbero più necessari, ma è un problema di distribuzione”. Per questo ritiene “controproducenti” i divieti all’esportazione o misure di controllo dei prezzi: consiglia agli Stati, invece, di aumentare i sussidi alle famiglie meno abbienti.

Comunque gli aumenti alimentari non colpiscono solo il riso. In Cina nel periodo di gennaio-febbraio la soia è aumentata del 41,4%, il mais del 14,4%, il grano dell’8,8%. La Cina in 30 anni ha sottratto molte terre all’agricoltura per favorire lo sviluppo industriale e urbanistico e le coltivazioni di riso sono  scese da 33 milioni di ettari nel 1983 ai 29 mlioni del 2006 e il grano da 29,5 a 22,9 milioni di ettari nel 2006. Peraltro sono aumentate le coltivazioni di soia (da 7,7 milioni nel 1985 a 9,28 milioni nel 2006) e di mais (da 18,8 a 26,97). Ciò nonostante importa il 70% della soia che consuma, specie per l’olio da cucina.

Pechino ha congelato i prezzi di riso, olio da cucina e altri alimenti, per contenere la rapida inflazione. Ma questo colpisce molto gli agricoltori che, per l’aumento dei costi di produzione, vedono persino ridurre i loro profitti e si dedicano ad altre attività. Per evitare allarme il presidente Wen Jiabao di recente ha dichiarato che il Paese ha riserve di grano tra 150 e 200 milioni di tonnellate, che può utilizzare per mantenerne stabile il prezzo. Anche se analisti dubitano dell’attendibilità dei dati, poiché funzionari corrotti potrebbero averli “aumentati” per ottenere maggiori sussidi.

In altri Paesi,  invece, scarseggiano alimenti essenziali. In  Pakistan, secondo il Programma mondiale alimentare dell’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) dell’Onu, tra 60 e 77 milioni di persone hanno difficoltà ad acquistare pane e cereali. Una volta esportatore di alimenti, il Pakistan ora importa cereali e la gente fa file di ore per prendere una razione di riso o farina che lo Stato vende a prezzi economici.

La Fao dice che non bastano più i previsti 3,4 miliardi di dollari per sfamare 73 milioni di persone. Chiede ai donatori internazionali almeno altri 756 milioni di dollari (circa 740 milioni di euro) e annuncia che, dal 1° maggio, dovrà sospendere la fornitura di pasti gratis a 450mila alunni di 1.344 scuole in Cambogia, dove circa il 37% dei bambini sotto i 5 anni è affetto da rachitismo per la scarsa nutrizione.

L’India teme che i raccolti record di riso e grano previsti al 30 giugno  non basteranno al consuno interno, perché almeno il 10% è preda di animali nocivi o marcisce in magazzini inadeguati. (PB)