Kabul, al via il processo d’appello contro il giornalista “blasfemo”
Parwiz Kambakhsh, 23 anni, rigetta le accuse di blasfemia ed accusa la polizia di aver usato la tortura per costringerlo a firmare la sua confessione. Entro una settimana il verdetto definitivo.
Kabul (AsiaNews/Agenzie) – E’ iniziato ieri a Kabul il processo d’appello del giovane giornalista afghano condannato a morte per blasfemia. Parwiz Kambakhsh, 23 anni, si è dichiarato non colpevole ed ha sottolineato la sua fede nell’islam, che non gli permetterebbe mai di commettere blasfemia.
 
I giudici gli hanno concesso una settimana per preparare la sua difesa. Il 25 maggio, infatti, il suo caso sarà giudicato dall’Alta corte afghana, che dovrà decidere se commutare o meno la sentenza di morte. Questa è stata pronunciata lo scorso gennaio dopo un processo-farsa, in cui il giornalista ha avuto quattro minuti per difendersi.
 
Una corte della provincia di Balkh lo ha condannato dopo la denuncia di alcuni universitari, che accusano Kambakhsh di aver distribuito dei volantini blasfemi che dissacravano i principi base dell’islam. Il giornalista denuncia invece le torture subite in carcere dalla polizia, che lo ha costretto con la forza a “confessare” i suoi crimini.
 
Secondo la “confessione”, il giornalista aveva distribuito materiale anti-islamico davanti all’università di Kabul. In particolare, i volantini distribuiti dal giovane avrebbero attaccato la discriminazione delle donne “benedetta” dai musulmani. Altre fonti danno invece una versione diversa: Parwez sarebbe stato arrestato per colpire il fratello maggiore, giornalista anche lui, che denuncia la corruzione del governo afghano.
 
Nel corso della sua udienza di ieri, il giovane ha dichiarato: “Sono stato costretto a firmare dichiarazioni che non rispondono al vero. Sono musulmano, e non farei mai nulla per insultare la mia religione”.