Da Beirut doccia fredda sull'apertura di colloqui di pace con Gerusalemme
Il premier libanese ribadisce che il ritiro israeliano dalle fattorie di Shebaa è condizione essenziale per un accordo con Israele. In bilico anche l’intesa fra Israele e Palestina, nonostante la pressione del governo Usa che vuole la pace prima della fine del mandato di Bush.

Beirut (AsiaNews/Agenzie) – Doccia fredda sulla possibilità di colloqui di pace fra Libano e Israele, auspicati dal premier Ehud Olmert durante una riunione dell’esecutivo martedì scorso: il governo di Beirut rifiuta infatti di aprire un tavolo di confronto con Tel Aviv, fino a che gli israeliani continueranno a possedere quelli che i libanesi considerano “territori occupati”. Al centro del contendere la disputa sulle fattorie di Shebaa, una quarantina di chilometri quadrati al confine tra Israele, Siria e Libano, occupate da Gerusalemme durante la guerra lampo nel ’67; l’annessione non è mai stata approvata dalla comunità internazionale e Beirut le rivendica da anni quale proprio territorio.

Secondo un comunicato diffuso dal governo libanese “un accordo di pace fra Israele e Libano è condizionato dalla restituzione dei territori, dal rilascio dei prigionieri detenuti nelle carceri israeliane, dalla consegna di una mappa che indichi tutte le mine sparse sul territorio e le bombe a grappolo sganciate durante le guerre”.

Le Nazioni Unite considerano le fattorie di Shebaa territorio siriano ma il Libano, con l’approvazione di Damasco, rivendica la propria sovranità sulla zona; una risoluzione del Consiglio di sicurezza Onu – la 1701, votata nell’agosto 2006 – prevede la “cessazione piena delle ostilità, in particolare, la fine immediata di tutti gli attacchi di Hezbollah e l’interruzione di tutte le operazioni di offensiva militare di Israele”. Libano e Israele sono ufficialmente in stato di guerra dal 1948, al momento della nascita dello Stato ebraico, nonostante l’armistizio sottoscritto nel ’49. Due anni fa il primo ministro Fouad Siniora ha giurato che il Libano sarà “l’ultima nazione araba a sottoscrivere un accordo di pace” con il governo di Tel Aviv.

Nel frattempo il primo ministro palestinese Salam Fayyad reputa “impossibile” un accordo di pace con Israele “entro la fine dell’anno”, nonostante la pressione della diplomazia americana che spinge per una firma prima della fine del mandato del presidente George Bush, nel gennaio 2009. Gli insediamenti israeliani in Cisgiordania sono “un ostacolo” serio alla prosecuzione delle trattative, mentre Gerusalemme ribadisce che punti di controllo e presidi nella zona sono essenziali “per prevenire attacchi sul proprio territorio”.