Il Giappone scioccato si interroga sul massacro di Akihabara
di Pino Cazzaniga
In una società che ora ha paura e cerca soluzioni, c’è chi vuole dare maggiori poteri alla polizia e chi si interroga sulle cause psicologiche o sociali che favoriscono in alcuni lo sviluppo della tendenza alla brutalità. Andrebbe approfondito il ruolo che può giocare la religione, ma qui la Chiesa è “timida”.
Tokyo (AsiaNews) – Akihabara è il quartiere di Tokyo noto in Giappone e all’estero per i suoi negozi di elettronica e come centro della sotto-cultura moderna, compresi i cartoni animati. Alla domenica tutta la zona è chiusa al traffico e la “mecca dell’elettronica” diventa il paradiso dei pedoni, specialmente giovani. Ma domenica 8 giugno il paradiso si è trasformato in un inferno: poco dopo mezzogiorno un autocarro vi è entrato a velocità sostenuta, travolgendo alcuni passanti. Il conducente. Tomohiro Kato, 25 anni, è poi sceso dal pesante automezzo e con un pugnale, ha colpito indiscriminatamente i passanti uccidendone sette e ferendone dieci, prima di essere bloccato da un poliziotto.
 
“Sono nauseato del mondo e stanco della vita. Sono venuto ad Akihabara per uccidere, non importa quali persone”, ha detto alla polizia.. Il nefando crimine ha gettato tutta la nazione nello sconcerto e nell’abbattimento anche perchè l’assassino non ha agito in seguito a un raptus di pazzia ma con assoluta lucidità e determinazione. La frase detta agli inquirenti corrisponde a uno dei tanti messaggi che il Kato ha inviato a un Internet bulletin board attraverso il suo cellulare, descrivendo ora per ora il piano che stava attuando.
 
Il Giappone che vanta, non a torto, un primato anche nella sicurezza sociale è stato mortalmente ferito nell’orgoglio. Il giovane criminale non aveva mai dato segni di mentalità antisociale; ha trascorso fanciullezza e giovinezza nella prefettura di Aomori (nord del Giappone) con risultati scolastici piuttosto alti. Pare tuttavia che non abbia avuto buone relazioni con i genitori, che si preoccupavano unicamente della formazione intellettuale del figlio. Stabilitosi a Susono, una cittadina della prefettura di Shizuoka, è stato assunto da un’ officina per automobili dove ha lavorato con perizia e diligenza. Ma il venerdì prima del delitto la diligenza è venuta meno: per la prima volta non si è presentato al lavoro. Aveva speso quel tempo ad acquistare un pugnale e coltelli, a prenotare il pesante automezzo ed a mettere a punto il piano d’azione.
 
Ora tutta la società giapponese non si sente più sicura. Purtroppo l’orrendo massacro a casaccio non è senza precedenti: esattamente sette anni prima, l’8 giugno 2001, un uomo fatta irruzione in un’ aula di una scuola elementare presso Osaka, ha ucciso 7 scolari e ne ha feriti 15 e il maestro.. Inoltre negli ultimi dieci anni si sono avuti in tutto il Giappone 67 casi di assassini indiscriminati.
 
Gli analisti dei quotidiani più rinomati, pur non sottovalutando la responsabilità di chi ha compiuto gli orrendi delitti, sono concordi nell’affermare che la società giapponese è seriamente ammalata. Il fatto che il massacro di Akihabara sia avvenuto nella “mecca degli elettronici” è simbolico. Da 60 anni il Giappone nelle sue strutture più importanti, come la politica e l’istruzione, ha fatto dell’economia non un mezzo per lo sviluppo dell’uomo, ma un idolo che lo rende schiavo e lo uccide.
 
Purtroppo i mezzi suggeriti per uscire da una situazione che fa rabbrividire, sono solo esteriori o vaghi. Il quotidiano Yomiuri prende atto che occorre trovare le cause psicologiche o sociali che favoriscono in alcuni lo sviluppo della tendenza alla brutalità. Ma per quanto riguarda la società nell’insieme l’editorialista si limita a chiedere il potenziamento della polizia, l’istituzione alla quale tradizionalmente il Giappone ricorre per assicurare l’”armonia” sociale. Scioccato dall’indifferenza ai numerosi messaggi web del Kato. scrive: “Occorre che la polizia possa ottenere l’autorizzazione dalla magistratura che le permetta di investigare o prendere le registrazioni degli operatori di website e chiedere loro di identificare la sorgente di tali messaggi”.
 
Sul binario giusto si pone, invece, l’editorialista dell’Asahi. Non sottovaluta l’importanza dell’investigazione giudiziaria per trovare la verità, ma “questo non basta”, aggiunge. “C’e’ in questa società, apparentemente tranquilla, qualcosa che spinge i giovani ad agire irresponsabilmente e violentemente. È urgente cercarne la causa”.
 
Osiamo dire che anche l’analisi sociologica è insufficiente. L’origine del male morale è nel cuore dell’uomo, che in un contesto sociale, diventa il cuore della società. Pur non confondendo gli ambiti, ma anche non separandoli, riteniamo che la religione, quando è autentica, ha enorme potere terapeutico.
 
E qui la riflessione si focalizza non sulla società nipponica, ma sulle Chiese cristiane che sono in Giappone e specialmente su quella cattolica alla quale appartengo. Da decenni la Chiesa qui vedendosi attraverso il magro contenuto delle statistiche, tende a considerarsi un “piccolo gregge” ma non in senso evangelico e sentendosi pressata da una società apparentemente refrattaria alla forza del Vangelo, nasconde sotto terra il prezioso talento che ha. Leggendo i vangeli sinottici con intelligenza di fede, si vede che Gesù Cristo mandando nel mondo il gruppetto dei Dodici (‘piccolo gregge’) li ha dotati di due poteri: quello della Parola e quello dell’Esorcismo. Riteniamo che lo stesso potere abbiano le comunità cristiane presenti nelle megalopoli del Giappone come oasi nel deserto.
 
Ne ho fatto l’esperienza quasi contemporaneamente allo svolgersi del nefando delitto di Akihabara. Sabato, richiesto di sostituire il parroco di una città nella prefettura di Shizuoka,  viaggiando con il “treno proiettile”, ho percorso a ritroso il medesimo itinerario che l’infelice assassino avrebbe percorso il giorno dopo. Poi, la domenica, ho diretto per tre volte la celebrazione cultuale che noi cattolici chiamiamo “Messa”: ho visto l’aspetto delle tre congregazioni illuminarsi via via nello splendore della speranza. Ma il culmine della esperienza l’ho avuto nel primo pomeriggio, proprio quando a Tokyo gli amici e i parenti degli uccisi precipitavano in un indicibile sconforto. Mi trovavo in una stanza di un enorme ospedale e di fronte a me, seduto sul letto, c’era un uomo di 70 anni afflitto da un male incurabile e inoperabile. Sapevo che la sua vita era stata feconda e impegnata a livello familiare e professionale. Non un lamento; la sua serenità, pur virilmente contenuta, mi ha affascinato. Sentirmi piccolo davanti a tale testimonianza non mi è stato difficile. La mia meraviglia ha raggiunto l’apice quando, accomiatandomi da lui, ha voluto accompagnarmi all’ascensore trascinandosi la bombola dell’ossigeno.
 
Pochi minuti prima aveva ricevuto quel pane santo che noi cattolici crediamo essere il corpo di Cristo, l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo.