Bali, summit mondiale sui rifiuti tossici
Da oggi al 27 giugno, gli Stati firmatari della Convenzione di Basilea studieranno come arginare il crescente flusso di spazzatura “pericolosa” dai Paesi industrializzati a quelli emergenti, soprattutto in Asia, e il grave impatto su ambiente e salute. Il problema dell’e-waste in India e Cina.
Bali (AsiaNews) – L’adozione di una politica globale sulla gestione dei rifiuti tossici nel rispetto della salute umana e dell’ambiente è strettamente legato alla realizzazione di obiettivi di sviluppo quali il debellamento della fame nel mondo. Su questo punto mira a riportare l’attenzione internazionale la 9° Conferenza dei firmatari della Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi (COP9) apertasi oggi a Bali, in Indonesia.
 
Il summit - che si chiuderà il 27 giugno e a cui prendono parte mille delegati da 170 Paesi – avrà al centro dei lavori lo studio di un migliore trattamento dei rifiuti pericolosi nei Paesi emergenti e in via di sviluppo per ridurne al minimo gli effetti sulla salute e sull'ambiente. La Convenzione di Basilea (1989) mira principalmente a evitare le esportazioni di rifiuti pericolosi verso nazioni in via di sviluppo, le quali spesso non dispongono delle infrastrutture e delle conoscenze necessarie per garantire uno smaltimento o un riciclo ecosostenibile. Finora, però, la Convenzione non è servita ad arginare il flusso di rifiuti pericolosi - in particolare spazzatura elettronica (e-waste) - dai Paesi industrializzati a quelli emergenti come Cina e India, ormai vere e proprie discariche dell’occidente.
 
Il problema dell’e-waste
Da tempo gruppi ambientalisti come Greenpeace denunciano la situazione e le conseguenze mortali sulle popolazioni e il territorio. Stando ad un rapporto dell’Associated Press, l’80% delle componenti elettroniche raccolte negli Usa per il riciclo viene inviata all’estero. E l’Asia è la meta più gettonata. Nelle periferie delle megalopoli del continente un esercito di poveri, smantella e poi estrae dalle componenti elettroniche metalli preziosi come platino, argento, oro, utilizzando acidi, a mani nude, entrando in contatto con sostanze nocive come piombo, cadmio, mercurio. Quello che non è riciclabile, finisce nel sottosuolo e da qui nelle falde acquifere. Tutto il settore è retto da un sistema illegale e utilizza strumentazione e metodi inadeguati, nella totale assenza di norme di sicurezza e protezione.
 
La Cina è stata finora la principale destinataria dell’e-waste statunitense. In seguito all’introduzione di norme più restrittive sull’importazione di questo genere di spazzatura, le rotte del commercio si sono spostate verso l’India, dove il settore soffre di un vuoto legislativo. L’esportazione dagli Usa non può essere considerata illegale perché, unico caso nel mondo industrializzato, Washington non ha ratificato la Convenzione di Basilea. Molti rifiuti pericolosi - computer e apparecchiature di seconda mano – riescono ad aggirare anche i pochi divieti esistenti. Solo negli ultimi sei mesi del 2007, 600 tonnellate di e-waste sono state scaricate nell’Unione sotto forma di materiale per “donazioni” tutto “duty free”, denuncia Threehugger.com, portale che si occupa di informazione sull’ambiente.