Pechino, la polizia non permette proteste nemmeno nei parchi designati dalla sicurezza
Gruppi che vogliono dimostrare o presentare petizioni non vengono ascoltati e cacciati via dalla città. Eppure il governo, durante il periodo delle Olimpiadi, aveva garantito libertà di manifestazione in tre parchi di Pechino.

Pechino (AsiaNews) – Rappresentanti di gruppi che chiedevano il permesso di manifestare  e presentare petizioni a Pechino, sono stati cacciati via in malo modo dalla polizia. Solo pochi giorni fa, Liu Shaowu, responsabile della sicurezza del Comitato organizzatore delle Olimpiadi, aveva annunciato che nel periodo olimpico saranno permesse le proteste pubbliche, seppure confinate in tre parchi della città, non prossimi ai siti olimpici. Essi sono: il parco Ritan nel quartiere di Chaoyang; Purple Bamboo ad Haidian, e il Beijing World a Fengtai.

E invece la polizia continua a negare i permessi e si rifiuta di accettare perfino le richieste.

La rappresentante di un gruppo di proprietari di Suzhou (Jiangsu), giunta ieri a Pechino, si è diretta subito all’ufficio della Pubblica sicurezza per domandare il permesso di fare una petizione contro l’esproprio illegale di terreni nella loro zona. La polizia l’ha bloccata e prima le ha detto che avrebbe dovuto fare la domanda nella zona di provenienza (Suzhou); poi le ha detto che sarebbe stato inutile, perché non le avrebbero mai dato il permesso; infine l’hanno costretta a salire su un treno e ritornarsene a casa.

Anche altri gruppi hanno subito il rifiuto della polizia che non accetta nemmeno la loro richiesta. Fra questi un gruppo di proprietari di Taiwan e un’associazione anti-giapponese che lotta per la sovranità cinese delle isole Diaoyu.

Secondo osservatori, il governo di Pechino è diviso: da una parte cerca di presentare un volto moderno e aperto, garantendo in teoria libertà di manifestare (almeno nelle zone designate); dall’altra ha paura che i Giochi siano l’occasione per migliaia di persone di portare a galla tutte le ingiustizie subite. Così nella capitale è in atto un giro di vite contro chi protesta e dal 14 luglio oltre 1.500 presentatori di petizioni sono finiti in carcere, mentre molti altri sono stati subito rimpatriati nelle loro città di origine.