Gli universitari birmani sfidano la giunta, ricordando la strage dell'agosto 1988
Alla vigilia del 20mo anniversario della rivolta popolare in cui morirono 3mila persone, gli studenti hanno realizzato un opuscolo in cui si ricordano i massacri della giunta militare. Dissidenti chiedono aiuto all’occidente per far uscire il Paese “dall’isolamento internazionale”.

Yangon (AsiaNews/Agenzie) – Alla vigilia del 20mo anniversario del massacro compiuto dalla giunta militare l’8 agosto 1988 in Myanmar, gli studenti universitari della capitale hanno realizzato un libretto antigovernativo e una campagna fotografica per ricordare i protagonisti delle proteste e la sanguinosa repressione della dittatura militare. Durante le proteste del 1988 morirono più di 3mila persone e, in vista della ricorrenza, il governo ha deciso un ulteriore giro di vite sulla sicurezza per reprimere qualsiasi forma di dissenso.

Gli allievi della Dagon University a Yangon hanno inviato una lettera al rettore e al vice-rettore, chiedendo loro di prendere parte alle azioni di protesta in programma l’8 agosto. Dagli ambienti universitari arriva anche la conferma di un maggiore controllo deciso dalla giunta militare, che teme “altre marce per la democrazia” come quelle organizzate dai monaci nel settembre 2007. Alcuni ex leader dei movimenti studenteschi affermano che si “vestiranno in nero” in segno di lutto per le vittime del 1988, mentre altri terranno veglie di preghiera nei templi buddisti e offriranno cibo ai monaci in segno di solidarietà.

Gli ex-studenti ricordano bene il periodo delle rivolte, un movimento di popolo che ha coinvolto “tutto il Paese” e che ha visto “tutti i birmani marciare per le strade, uniti”. Oggi è difficile che la situazione possa ripetersi, però arriva a più voci la richiesta di “non isolare la nazione dal resto della comunità internazionale”: Il rischio, sottolineano alcuni dissidenti, è che la giunta si senta sempre più minacciata e invece di aprirsi al mondo si ripieghi sempre più verso se stessa, accettando di cooperare solo con qualche Paese che non si pone troppi problemi in materia di diritti umani, come la Cina o Russia e India. “L’isolamento – sottolinea un attivista birmano rifugiatosi in Thailandia – ha spinto la giunta militare verso un crescente autoritarismo, altro che democrazia. È tempo che l’Occidente ripensi tutta la questione e cerchi di attivare rapporti con l’attuale leadership” per il bene del popolo birmano.