Per almeno cinque mesi all'anno i timoresi vanno a letto affamati
Mentre la comunità internazionale celebra la Giornata mondiale dell’alimentazione il Paese è di nuovo sotto la morsa della fame . L’Oxfam australiana lancia l’allarme. I più colpiti sono i bambini, con percentuali di malnutrizione cronica che in alcuni distretti interessano sino al 90% della popolazione infantile.

Canberra (AsiaNews) - Mentre la comunità internazionale celebra la Giornata mondiale dell’alimentazione, Timor est si trova ad affrontare una nuova crisi. A lanciare l’allarme fame per l’isola del sud est asiatico è l’Oxfam australiana. Un nuovo rapporto sugli aiuti umanitari, realizzato dall’organizzazione presente nel Paese asiatico dal 1975, descrive una situazione critica in quasi tutte le regioni dell’isola. Dei tredici distretti, quelli che presentano i dati più preoccupanti sono Manatuto, Liquica, Bobonaro, Oecusse, Covalima e Lautem. Come ha spiegato il direttore esecutivo di Oxfam, Andrew Hewett, “negli ultimi mesi hanno affrontato quella che definiscono la stagione della fame”, un periodo che di norma riguarda alcuni mesi dell’anno. “Questa fase si è prolungata e ora parliamo di persone che non hanno nulla da mangiare e per almeno cinque mesi dell’anno vanno a letto affamati ogni sera”.

I numeri della crisi segnalano che più del 70%  dei bambini si trovano in una situazione di insicurezza alimentare. In molte regioni più del 59% dei piccoli sotto i cinque anni soffrono di malnutrizione cronica, ma in alcuni il fenomeno tocca cifre attorno al 90% della popolazione infantile. Nel complesso, ha spiegato Hewett, la situazione riguarda “un bambino ogni due sotto i cinque anni”.

Timor est è l’unico Paese asiatico, insieme con le Filippine, ad avere una popolazione a maggioranza cristiana: quasi il 70% è costituita da cattolici, mentre il restante 30% è per lo più musulmano. Del milione e poco più di timoresi, più del 40% vive sotto la soglia di povertà con meno di 55 centesimi di dollaro al giorno. A questo si aggiunge poi l’alta percentuale di disoccupazione che, nelle aree urbane, tocca cifre molto alte e riguarda all’incirca il 60% dei giovani. Nelle zone rurali lo scenario cambia, ma non i numeri della povertà: i  nuclei familiari vivono di un’agricoltura di sussistenza e dipendono in modo massiccio dagli aiuti alimentari esteri.

Le organizzazioni umanitarie presenti nel Paese indicano tra le cause principali della crisi alimentare l’aumento globale dei prezzi di generi di prima sussistenza come il riso, avvenuto all’inizio dell’anno e protrattosi in Asia per il tutto il 2008.

Ad aggravare la situazione di povertà della popolazione di Timor est ci sono poi le condizioni di instabilità politica. Raggiunta l’indipendenza nel 2002, dopo una lunga e violenta colonizzazione indonesiana, l’isola sta facendo i conti con il perdurare di scontri interni. Gli ultimi avvenimenti cruenti hanno visto contrapposto il governo ad un gruppo di ex-militari ribelli, formatosi nel 2006 dopo il licenziamento di circa 600 soldati. A fare le spese delle violenze, che hanno causato oltre 30 morti e più di 150mila sfollati, è stato anche il presidente Ramos Horta, vittima di un attentato nel febbraio di quest’anno.

Questi fattori, uniti al livello di arretratezza in cui si trova l’isola, rendono difficile lo sviluppo del Paese. Anche la scoperta di significativi giacimenti di gas naturale e petrolio nel mare di Timor non hanno portato per ora miglioramenti delle condizioni di vita e crescita dell’economia. Pesa invece l’attuale crisi finanziaria mondiale che, secondo Oxfam, rischia di far finire nel dimenticatoio situazioni come quella di Timor est e di altri Paesi poveri.

Per affrontare la crisi alimentare in corso, ha affermato il direttore dell’organizzazione australiana, “c’è bisogno di un maggiore supporto ai programmi di emergenza alimentare e bisogna focalizzare gli investimenti nell’agricoltura”. Gli organismi umanitari presenti sull’isola, tra cui Christian children’s fund, Concern worldwide e Care international, concordano con la visione di Oxfam e rivolgono il loro appello soprattutto ad Ue, Usa e Giappone.