Mons. Warduni, vescovo a Baghdad: “Obama, la vera conquista è la pace in Iraq”
Il vicario del Patriarca chiede al neo-presidente Usa di “guardare al bene di tutti i popoli della terra”, mettendo da parte “egoismi e divisioni”. Il prelato boccia la decisione del parlamento iracheno di concedere solo sei seggi alle minoranze alle elezioni provinciali e rivendica “pari diritti” di fronte alla Costituzione. Qualche segno di speranza a Mosul.

Baghdad (AsiaNews) – “Auguriamo al presidente Barack Obama di governare guardando al bene dei popoli di tutta la terra. Un invito che rivolgiamo a lui e a tutti i leader politici mondiali, perché si adoperino per la pace, la prosperità e l’amore fra i popoli, mettendo da parte divisioni ed egoismi personali”. È l’auspicio che mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, rivolge ad AsiaNews commentando la vittoria alle urne di Obama. Riferendosi al futuro dell’Iraq, il prelato chiede al neo Capo di Stato Usa di “guardare agli interessi del popolo”, lavorando non solo “per vincere una guerra” ma per “portare una pace stabile e duratura”, perché essa sola rappresenta “un vera conquista” non solo in Iraq, ma in tutte “le aree in cui è in atto un conflitto”.

Ben più duro, invece, il commento del vescovo ausiliare di Baghdad in merito alla “rappresentanza dimezzata” delle minoranze alle prossime elezioni provinciali. Lunedì 3 novembre il Parlamento ha approvato una risoluzione, accolta con 106 voti a favore su 150, in cui si riservano sei seggi alle minoranze: tre ai cristiani (Baghdad, Ninive e Bassora), uno a testa agli yazidi e agli shabak a  Ninive e l’ultimo ai sabei, nella capitale. “Ci hanno fatto l’elemosina – denuncia mons. Warduni – ma noi non la volgiamo. Noi chiediamo pari diritti”.

Il vescovo caldeo ricorda la lotta promossa dalla Chiesa “per il reinserimento dell’articolo 50 nella legge elettorale”, che avrebbe garantito 15 seggi (su un totale di 440) alle minoranze, di cui 13 ai cristiani, uno agli shabak e l’ultimo agli yazidi. “Abbiamo incontrato il premier al-Maliki, il presidente, i leader religiosi musulmani fra cui il grande Ayatollah al Sistani, e poi gli sceicchi e i capi tribù. Tutti hanno promesso la reintroduzione dell’articolo in base al principio, sancito dalla Costituzione, che gli iracheni sono uguali e godono di pari diritti. Evidentemente hanno preferito farci l’elemosina; ma noi non la accettiamo, noi chiediamo pari diritti”.

Il vicario patriarcale afferma che “non è giusto continuare a parlare di minoranze”, perché di tratta di “componenti diverse di un unico Iraq”, che devono collaborare per “trasformare in un progetto concreto il desiderio di democrazia”; egli ribadisce inoltre il ruolo della comunità cristiana nella ricostruzione del Paese, grazie al “prezioso contributo in termini di diffusione della cultura, nell’istruzione e nell’educazione, nel sociale e nel campo della medicina”, pur fra “pericoli, minacce e persecuzioni”. Una strage passata a lungo sotto silenzio, causa anche l’atteggiamento omertoso di  “Unione Europea, Stati Uniti, del parlamento e della comunità internazionale che per troppo tempo non hanno mosso un dito”.

“Nel solo mese di ottobre da Mosul – continua mons. Warduni – sono fuggite più di 2500 famiglie, hanno ammazzato 14 persone e hanno distrutto tre case. Nonostante tutto si vedono dei piccoli segni di miglioramento: con l’intervento della polizia e dell’esercito la situazione è cambiata, in questi giorni sono rientrate in città oltre 500 famiglie, altre si preparano a tornare”. Il prelato riferisce alcuni elementi positivi per i cristiani a Mosul: “la vicinanza fra la Chiesa e la comunità, che ringrazia preti e vescovi per il lavoro svolto; la solidarietà dei musulmani, che aiutano i cristiani portando loro cibo e chiedendo di non fuggire; l’amicizia che nasce fra i giovani delle due comunità, che oggi si salutano e parlano, a differenza del passato; la risposta del governo, che almeno in parte ha raccolto il nostro grido di aiuto”. Rimangono comunque molti aspetti irrisolti, fra i quali “il dramma dei morti e il dolore delle loro famiglie” che aspettano un risarcimento, i raid compiuti contro i cristiani durante i quali “venivano puntate pistole e fucili alle tempie dei bambini” e il senso di “paura latente” che pervade il “futuro di molte persone”.(DS)