P. Riccardo Magrin, martire della speranza fra i malati e gli anziani del Giappone
di Pino Cazzaniga
Il missionario italiano del Pime, morto alla fine di novembre, ha speso 54 anni in Giappone, penetrando nella mentalità e nella cultura della gente. Negli ultimi anni di vita ha vissuto fra gli ammalati di un ospedale di ispirazione cattolica a Kurume. La vera globalizzazione avviene attraverso la preghiera e la testimonianza.

Tokyo (AsiaNews) - Il vescovo Domenico Miyahara non ha esitato ad accostare la sua personalità a quella dei 188 martiri giapponesi, beatificati il 24 novembre scorso. La parola “martirio”, nel significato originario, indica il dono totale della propria vita per amore di Cristo. Ed è questa, secondo il vescovo, il senso della vita di p. Riccardo Magrin, missionario del Pime, morto a 84 anni, lo scorso 26 novembre. La sera del 27 novembre centinaia di persone hanno riempito la chiesa di Kurume (Fukuoka, Kyushu) per dare l’estremo saluto al missionario italiano. Gran parte dei presenti erano dirigenti, medici e infermiere, in maggioranza non cristiani, del “Sei Maria Byoin”, il grande ospedale “Santa Maria”, dove il padre Riccardo ha trascorso come cappellano gli ultimi sette anni della sua vita.

P. Magrin era nato a S. Pietro In Gu` (Padova), nel 1924. Destinato alle missioni del Giappone nel 1954, vi è rimasto fino alla morte, lavorando in cittadine della prefettura di Saga, una delle meno note. Nel 2001 aveva deciso di lasciare l’incarico  della chiesa cattolica nella città di Tosu, ritornare in patria per riposo e dedicare gli ultimi anni alla contemplazione. Ma il dott. Michio Ide, direttore dell’ospedale di Kurume, lo ha invitato a diventarne il cappellano. E p. Magrin  ha accolto l’invito.

Qualche mese dopo, in una lettera indirizzata al suo superiore, ha scritto: “Qui la Provvidenza per vie misteriose mi diresse a passare gli ultimi anni della vita. Per me è un lavoro tutto nuovo ma si presenta pieno di iniziative spirituali e corporali”. Aveva 77 anni! “Sto constatando – continuava - che la chiesa è importantissima all’interno dell’ospedale, perché la gente ha bisogno di un luogo e di una persona che permetta l’incontro con Dio. La sofferenza molto spesso avvicina le persone a Dio. Scopro ogni giorno quanto sia importante portare conforto e speranza”.

L’ospedale Santa Maria

L’ospedale “Santa Maria” di Kurume ufficialmente non è un’istituzione ecclesiastica. É stato fondato circa 90 anni fa dal dottor Ichiro Ide, padre dell’attuale direttore, un fervente cattolico di Nagasaki, per servire i poveri che non erano in grado di ricevere adeguata assistenza medica. Il modesto ambulatorio degli inizi è diventato una clinica dalle  dimensioni impressionanti: vi sono annessi anche un ospizio per anziani non autosufficienti e una rinomata scuola per infermiere a livello universitario. Vi abitano o lavorano oltre 4000 persone tra ammalati, medici, infermiere e volontari. La stragrande maggioranza non sono cristiani, ma lo sono i principi e lo spirito che animano l’attività di tutto il complesso. Nell’opuscolo che indica la finalità della fondazione si legge: “L’assistenza medica offerta agli ammalati e l’educazione tecnica impartita alle aspiranti infermiere sono basate sullo spirito cattolico dell’amore”. Sul frontone dell’edificio fanno spicco tre ideogrammi che, tradotti, significano “Fede, Speranza, Carità”.

Quando, circa 30 anni fa, il vescovo di Fukuoka ha deciso di ricostruire la cattedrale, il direttore del “Santa Maria” ha chiesto di poter trasportare e ricostruire la vecchia chiesa nel recinto dell’ospedale, perché diventasse luogo di consolazione e speranza. Lo è diventata di fatto quando l’ingaggiato vecchio missionario ha accettato di assumerne la  responsabilità. Padre Riccardo, senza alcun atteggiamento di proselitismo trascorreva la mattinata visitando, dice, “gli ammalati che conosco e attraverso questi vengo a conoscerne tanti altri”. E così la consolazione usciva dalla porta della chiesetta come un discreto ma vivo “fiume di speranza”..

In una lettera da lui scritta all’inizio di questo nuovo lavoro dice: “Di cose ospedaliere io non me ne intendo affatto. Però come uomo io vorrei essere vicino a chi lavora come me in ospedale, vorrei condividere con loro le gioie e i dolori. Tutti abbiamo momenti felici e momenti meno felici. Vorrei che le persone che lavorano in ospedale, quando vivono questi momenti infelici, possano sentirsi liberi di parlare con me e io possa essere per loro una luce che dona speranza”.

E lo è stato in modo crescente specialmente verso la fine della vita quando i medici gli hanno diagnosticato un tumore ai  polmoni.  Cosciente di aver pochi mesi da vivere, non si è lasciato vincere dalla rassegnazione. ma ha continuato a consolare gli anziani ammalati dell’ospizio.

Ricordando tutto questo, ai funerali, il vescovo Miyahara ha esortato i presenti  “a non lasciarsi sopraffare dalla mestizia ma a dare la precedenza al sentimento di gioioso ringraziamento a Dio per il dono che ha fatto alla chiesa di Fukuoka e al Giappone nella persona di padre Riccardo.”  Ma anche “la mestizia, ha aggiunto, è giustificata  perché abbiamo perso una grande esistenza”.

Un’esistenza fruttuosa e riuscita. Lo ha sottolineato p. Ferruccio Brambillasca, attuale superiore del PIME in Giappone. “Quello che veramente dispiace non è il fatto che si debba morire, ma il fatto che si ‘sprechi’ la propria vita. P. Magrin è stato un missionario che non ha ‘sprecato’ nemmeno un istante della sua vita, e per questo è da tutti ben ricordato. Anche quando padre Magrin è stato ammalato non ha mai smesso di continuare il suo apostolato andando a trovare gli ammalati con cura e dedizione”

Missione e globalizzazione

Un altro aspetto non secondario della sua esistenza è quello di essere stato un europeo in Giappone. La globalizzazione, che è la caratteristica della nostra epoca, non la si costruisce con i computer, i sistemi finanziari e, tanto meno, con la forza militare, ma con il dialogo di vita fra persone di culture diverse. Per un occidentale , diplomatico o commerciante che sia, non è un’impresa ardua vivere nelle metropoli del Giappone. Sostanzialmente diverso è il caso di un europeo che vive 54 anni in una regione del Giappone dove non si incontrano europei o americani. Per inserirsi e vivere a lungo in tale ambiente occorre condividere la vita della gente comune parlandone la lingua e adottandone i costumi. In questo modo egli può comunicare non solo una dottrina ma più ancora i valori incarnati nella sua persona. La gente della prefettura di Saga  ha capito cos’è la cultura europea non attraverso i programmi culturali televisivi, ma vedendo la figura dell’ umile ed esile missionario.

Per raggiungere questo livello di comunicazione culturale gli è occorsa un’immensa energia morale che egli ha attinto dall’alto, attraverso  una preghiera continua.  Il fatto che i responsabili dell’Unione Europea abbiano deciso di non  accennare al cristianesimo come radice dell’Europa  non può non produrre tristezza. Certo, negli scritti di Immanuel Kant, che molti hanno eletto come padrino filosofico della modernità occidentale, si trova  - osserva il teologo protestante Oscar Cullmann - un vero e proprio cumulo di insulti nel definire la preghiera: ‘voglia di follia’, ‘culto viscerale’, ‘fanatismo religioso’, ‘ipocrisia’. L’europeo Riccardo Magrin, attraverso l’assidua preghiera, ha ottenuto l’intuizione religiosa e l’energia che gli hanno permesso di rispettare, amare e consolare molti giapponesi e di esserne riamato. Questa esperienza manda in frantumi la tesi delirante del filosofo tedesco.