I profughi fuggono le Tigri Tamil, ma finiscono reclusi nei centri del governo
di Melani Manel Perera
Il governo continua la propaganda a sostegno della guerra contro le Tigri. Buona parte della popolazione ignora la reale situazione di chi vive nell’area del conflitto. Rukshan Fernando, coordinatore della organizzazione non profit Law & Society Trust: gli sfollati vivono in condizioni precarie, prigionieri dei campi profughi.
Colombo (AsiaNews) – Secondo un sondaggio commissionato dal governo, il 75% degli srilankesi sono “fermamente a favore dell’azione militare e la considerano l’unica strada per sconfiggere il terrorismo”. Il dato è stato reso pubblico il 10 dicembre, su un gruppo campione di 500 persone che vivono a ridosso della zona di conflitto tra esercito e Tigri tamil.
 
Rukshan Fernando, coordinatore della Law & Society Trust (St) e membro del Christian Solidarity movement, ha visitato però la regione di Vanni per verificare in loco la situazione dei profughi e dei campi di accoglienza gestiti dal governo. Interpellato da AsiaNews, afferma: “Quello che i media non raccontano e che il governo non dice allo Sri Lanka e al mondo è che questa popolazione [gli sfollati dalle zone di guerra Ndr] è detenuta contro il proprio volere”.
 
Dal 21 al 30 ottobre centinaia di persone hanno attraversato il checkpoint di Omanthai abbandonando l’area del conflitto: 335 hanno raggiunto il campo allestito nella Menik Farm, altri sono stati destinati alla scuola di Omanthai (entrambe i luoghi si trovano nel distretto di Vavunya), oltre 100 km da Jaffna.
 
“Il governo che ha fatto ogni sforzo per ‘invitare’ la popolazione di Vanni a trasferirsi nell’aree sotto il suo controllo non ha organizzato sistemazioni adeguate”. Rukshan racconta che nella Menik Farm “ci sono donne incinta, disabili mentali, pazienti affetti da diabete, asma, problemi di pressione, ragazzi e bambini soli”.
 
Il governo assicura un aiuto minimo. “Le persone arrivate nei primi giorni - dice ad AsiaNews -   hanno ricevuto una stuoia, asciugamani, lenzuola, vestiti, sapone da bagno e per lavare i vestiti. Gli ultimi arrivati stanno ricevendo solo cibo”. Il campo non offre la minima privacy: donne e uomini dormono in un unico stanzone, i bagni non hanno né tetto né porte”.
 
Rukshan dice che i campi sono in pratica luoghi di detenzione: “Buona parte di questa gente vuole ricongiungersi con i familiari [ospitati in altri centri], pochi vogliono restare nel campo: vogliono andare via e cercarsi un lavoro. Tutti vogliono assaporare la libertà. Ora in nome della ‘liberazione dalle Tigri’ si ritrovano detenuti e confinati dai ‘leoni’ in nome della ‘sicurezza nazionale’”.
 
“Mentre ero a Chettikulam - continua Rukshan - ho chiesto di visitare la Menik Farm, ma mi è stato risposto che non potevo senza il permesso dei militari e degli addetti governativi. Mi è stato detto che nei primi giorni l’accesso era stato negato anche al personale Onu e della Commissione nazionale per i diritti umani”. Inoltre, i profughi non possono recarsi in altri centri per ritrovare le loro famiglie e “non è chiaro come possano mettersi in contatto con parenti e amici se rimangono segregati nella Menik Farm”.
 
Rukshan afferma che il rapporto tra sfollati e il personale dell’esercito è buono: “Non ci sono notizie di violenze da parte dei militari che sono attenti e disponibili. Uno di loro - racconta - si è occupato personalmente di recuperare una bacinella di plastica per una bambina di 10 anni che non aveva dove lavarsi”.
 
“Gli agenti governativi - spiega Rukshan - ora stanno chiedendo di provvedere all’assistenza dei rifugiati alle agenzie Onu e alle ong che però si trovano davanti al dilemma tra l’aiutare e sostenere un centro di detenzione e fornire gli aiuti basilari cui il governo non provvede”.
 
Il coordinatore dell’St afferma che le condizioni dei rifugiati nei centri di Omanthai ricorda quella dei campi di Kallimoddai e Sirukkandal, nel distretto di Mannar, che ha visitato nel marzo di quest’anno. “I rapporti dell’Inter Agency Standing Committee indicano che più di 800 persone sono ad oggi confinate in quei due centri con gravi restrizioni ai loro movimenti”.