Mons. Sako: quello di Bagrad è stato un tentativo di sequestro finito in tragedia
Così l'arcivescovo di Kirkuk spiega la morte dell’uomo ucciso a colpi di pistola ieri a Mosul. La comunità cristiana obiettivo principale dei sequestri perché “non risponde alle violenze con la vendetta”. Il prelato lancia un appello “all’unità” anche sul piano politico e anticipa la data del Sinodo dei vescovi irakeni: il 12 maggio a Erbil.

Kirkuk (AsiaNews) – “Si è trattato di un tentativo di sequestro concluso in maniera tragica”. Così mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, spiega ad AsiaNews la morte di Chourik Bagrad, 36enne dipendente di una tipografia, il cui cadavere è stato rinvenuto ieri in una strada nel quartiere di al-Bakr a Mosul, nella zona a est della città.

“Hanno cercato di sequestrarlo – conferma il prelato – e lui ha opposto resistenza. Dopo una breve colluttazione, i rapitori lo hanno ammazzato con una serie di colpi di pistola alla testa”. Mons. Sako sottolinea che non si tratta di “violenze a sfondo confessionale: la religione non c’entra nulla. Sono bande di delinquenti, che operano sequestri e rapimenti con il solo scopo di estorcere denaro”. Un caso analogo al cristiano, anch’esso di Mosul, rapito la notte di capodanno, torturato e rilasciato dietro il pagamento di un riscatto di 50mila dollari.

I cristiani sono l’obiettivo principale dei sequestri perché, a differenza di arabi e curdi, non sono protetti dalla comunità, dai parenti e dalle forze dell’ordine. “La comunità cristiana – continua l’arcivescovo di Kirkuk – è un obiettivo più semplice da colpire. Sono meno protetti e la famiglia non risponde alla violenza secondo la logica della vendetta. Non vi sono rappresaglie; per le bande di delinquenti rappresentano un target più semplice per le loro azioni criminali”.

Mons. Sako conferma la “situazione di difficoltà” che si vive a Mosul. Chourik Bagrad, l’ultima vittima in ordine di tempo delle violenze, è stato ucciso “nello stesso quartiere in cui sono morti p. Ragheed Gani e mons. Paulo Farj Rahho”. Nonostante tutto egli ribadisce che “non bisogna cedere alla logica della paura e delle violenze, ma rimanere in Iraq per costruire un nuovo futuro”. Al riguardo mons. Sako lancia un duplice appello, al governo e alla comunità cristiana: “Chiedo al governo di difendere non solo i cristiani ma tutti i cittadini, senza distinzioni, dalle violenze. E alla comunità cristiana dico di non rinunciare alla terra in cui sono nati e di restare uniti”.

Per l’arcivescovo di Kirkuk “l’unità” resta un punto fermo e non risparmia critiche ai rappresentanti politici cristiani che si dibattono fra polemiche e divisioni, le quali non aiutano a difendere gli interessi comuni. A fine gennaio sono in calendario le elezioni provinciali, ma ancora oggi “manca un candidato di primo piano” e non vi è una “condivisione di fondo per un progetto politico che sappia dare nuove speranze alla comunità”. “I cristiani sono divisi – spiega – ciascun partito vuole perseguire i propri interessi a dispetto di una linea guida comune. Così facendo si va incontro a una sconfitta certa. Anche la Chiesa deve dimostrare di essere unita e chiedere a partiti, tribù e governo di proteggere la comunità cristiana, che resta una minoranza nel Paese e non dispone di armi o di una milizia per la difesa personale. La frammentazione, politica e religiosa, non dà forza e non serve a proteggere gli interessi della gente”.

Mons. Louis Sako, che il 21 gennaio sarà a Roma per la visita ad limina dei vescovi iracheni, anticipa infine la data del prossimo Sinodo dei vescovi. Previsto, in origine, per la fine di gennaio, il Sinodo è stato posticipato al 12 maggio a Erbil, nel Kurdistan iracheno, nel nord del Paese.(DS)