Papa: errori, incomprensioni e “odio” nella vicenda dei vescovi lefebvriani
In una lettera a tutti i vescovi cattolici, Benedetto XVI spiega che la sua decisione di rimettere la scomunica è dettato dalla ricerca dell’unità, essenziale in un mondo nel quale “Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini”. Ci sono stati errori da parte del Vaticano, ma un mal interpretato senso della libertà ha portato a mettere in discussione la pace nella Chiesa, nella quale la Fraternità e i suoi ministri “non esercitano in modo legittimo alcun ministero”.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Nella vicenda legata alla remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani – intrecciatasi con quella del negazionista mons. Williamson – c’è stata “all’interno e fuori della Chiesa Cattolica una discussione di una tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata”, lo stesso Papa è stato “trattato con odio senza timore e riserbo” e “con ostilità pronta all’attacco”, senza rendersi conto che il gesto di riconciliazine fa parte di quell’impegno a rendere presente Dio nella storia, che è fondamentale per la Chiesa. A scriverlo è lo stesso Benedetto XVI nella “Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione della scomunica dei quattro Vescovi consacrati dall’Arcivescovo Lefebvre”, resa pubblica oggi.
 
Largamente anticipata già ieri - e anche questo è segno di quella “veemenza” della quale scrive il Papa – la lettera vuole chiarire l’intera vicenda per “contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa”. E di “pace nella Chiesa” Benedetto XVI parla significativamente per due volte. A tale scopo egli riconosce che da parte vaticana sono stati commessi errori: fondamentale appare l’affermazione che “la portata e i limiti del provvedimento del 21 gennaio 2009 non sono stati illustrati in modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione”. C’è da aggiungere che a spegnere le polemiche non è bastata neppure la nota successivamente diffusa dalla Segreteria di Stato. E anche nella “disavventura” del vescovo Williamson - che sostanzialmente nega la Shoah - c’è stata mancanza di informazione, in quanto “mi è stato detto che seguire con attenzione le notizie raggiungibili mediante l’internet avrebbe dato la possibilità di venir tempestivamente a conoscenza del problema”.
 
L’intrecciarsi delle affermazioni del vescovo negazonista con il “gesto di misercordia” della remissione della scomunica, scrive poi il Papa, ha fatto sì che “un invito alla riconciliazione con un gruppo ecclesiale implicato in un processo di separazione si trasformò così nel suo contrario: un apparente ritorno indietro rispetto a tutti i passi di riconciliazione tra cristiani ed ebrei fatti a partire dal Concilio – passi la cui condivisione e promozione fin dall’inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico”. “Sono rimasto rattristato dal fatto che anche cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia, che – come nel tempo di Papa Giovanni Paolo II – anche durante tutto il periodo del mio pontificato è esistita e, grazie a Dio, continua ad esistere”.
 
Eliminata la questione Williamson, dopo aver sostanzialmente detto che chi poteva e doveva informarlo non l’ha fatto, Benedetto XVI spiega motivi e fini della remissione della scomunica. La più grave delle sanzioni canoniche, ricorda il Papa, fu comminata nel 1988 a mons. Marcel Lefebvre e ai quattro vescovi che egli aveva ordinato senza mandato papale. Essa aveva ed ha sempre lo scopo “di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno all’unità”. “La remissione della scomunica mira allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno”. D’altro canto “questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità dottrinale e a quella del Concilio”. La scomunica - e la sua remissione - d’altro canto riguarda le persone  “liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave”, ma non le comunità, compresa la Fraternità San Pio X, di mons. Lefebvre e dei suoi seguaci. Essa “non ha alcun stato canonico nella Chiesa” e ciò per “ragioni dottrinali”. A tutt’ora, quindi, la Fraternità e ”i suoi ministri - anche se sono stati liberati dalla punizione ecclesiastica - non esercitano in modo legittimo alcun ministero nella Chiesa”.
 
Chiarita la situazione, Benedetto XVI risponde anche alla accusa più frequente contro la sua decisione, quella sulla “convenienza di un simile gesto a fronte delle vere urgenze di una vita di fede nel nostro tempo”. “Certamente ci sono delle cose più importanti e più urgenti”, ma la “prima priorità” per il successore di Pietro, quella “che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio”. Perché “il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più”. “Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti”. Se questo è l’obiettivo, era ed è sbagliato “tendere la mano” ad una “comunità nella quale si trovano 491 sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari, 117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli?”. “Possiamo noi semplicemente escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca della riconciliazione e dell’unità? Che ne sarà poi?”.
 
“Certamente, da molto tempo e poi di nuovo in quest’occasione concreta abbiamo sentito da rappresentanti di quella comunità molte cose stonate - superbia e saccenteria, fissazione su unilateralismi ecc. Per amore della verità devo aggiungere che ho ricevuto anche una serie di testimonianze commoventi di gratitudine, nelle quali si rendeva percepibile un’apertura dei cuori”. D’altro canto, “non dobbiamo forse ammettere che anche nell’ambiente ecclesiale è emersa qualche stonatura? A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio. E se qualcuno osa avvicinarglisi - in questo caso il Papa - perde anche lui il diritto alla tolleranza e può pure lui essere trattato con odio senza timore e riserbo”.
 
“Purtropp”, conclude il Papa, dobbiamo ammettere che il "mordere e divorare" del quale parla San Paolo ai Galati “esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l’uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore?”.
 
“Il Signore – sono le ultime parole della Lettera - protegga tutti noi e ci conduca sulla via della pace. . È un augurio che mi sgorga spontaneo dal cuore in questo inizio di Quaresima, che è tempo liturgico particolarmente favorevole alla purificazione interiore e che tutti ci invita a guardare con speranza rinnovata al traguardo luminoso della Pasqua”. (FP)