Città del Vaticano (AsiaNews) – Una folla di almeno 40 mila persone ha preso parte all’inizio dei riti della Settimana santa con la celebrazione della domenica delle Palme in piazza san Pietro, presieduta da Benedetto XVI. La maggioranza di loro sono giovani romani e da diverse nazioni con magliette multicolori, cappelli, sciarpe, fazzoletti e un universo di palme e rami d’ulivo, venuti per la 24ma Giornata mondiale della gioventù che quest’anno si celebra a livello diocesano. Lo scorso anno la Giornata è avvenuta a livello mondiale a Sydney (Australia) e nel 2011 sarà a Madrid. Per questo, alla fine della celebrazione, giovani australiani hanno consegnato la Croce dei giovani a dei giovani spagnoli.
Dopo il canto lungo ed emozionante della Passione di Gesù secondo san Marco, il papa si è rivolto proprio ai giovani con una proposta profonda ed esigente. Prendendo spunto dalla commemorazione odierna, dell’entrata di Gesù a Gerusalemme, il pontefice ricorda il valore delle giornate di Sydney (“l’obiettivo essenziale era questo: Vogliamo vedere Gesù”), acclamato, come nella liturgia di oggi, come “colui che viene nel nome del Signore", e come il " Regno che viene, del nostro padre Davide!” (Mc 11, 9s).
Il papa si domanda: “Abbiamo capito che cosa sia il Regno di cui Egli ha parlato nell’interrogatorio davanti a Pilato? Comprendiamo che cosa significhi che questo Regno non è di questo mondo? O desidereremmo forse che invece sia di questo mondo?”. “Possiamo – spiega - riconoscere due caratteristiche essenziali di questo Regno. La prima è che questo Regno passa attraverso la croce… La seconda caratteristica dice: il suo Regno è universale”.
Ma subito, Benedetto XVI sottolinea la diversità del Regno di Gesù Cristo: “[esso] non è una regalità di un potere politico, ma si basa unicamente sulla libera adesione dell’amore – un amore che, da parte sua, risponde all’amore di Gesù Cristo che si è donato per tutti. Penso che dobbiamo imparare sempre di nuovo ambedue le cose – innanzitutto l’universalità, la cattolicità. Essa significa che nessuno può porre come assoluto se stesso, la sua cultura e il suo mondo. Ciò richiede che tutti ci accogliamo a vicenda, rinunciando a qualcosa di nostro. L’universalità include il mistero della croce – il superamento di se stessi, l’obbedienza verso la comune parola di Gesù Cristo nella comune Chiesa. L’universalità è sempre un superamento di se stessi, rinuncia a qualcosa di personale. L’universalità e la croce vanno insieme. Solo così si crea la pace”.
Al “Vogliamo vedere Gesù” (Giov. 12,21) – il tema della Giornata di Sydney – Gesù risponde con le parole sul “chicco di grano morto” (Giov. 12,24), che è “la legge fondamentale dell’esistenza umana: ‘Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna’ (Gv 12, 25). Chi vuole avere la sua vita per sé, vivere solo per se stesso, stringere tutto a sé e sfruttarne tutte le possibilità – proprio costui perde la vita. Essa diventa noiosa e vuota. Soltanto nell’abbandono di se stessi, soltanto nel dono disinteressato dell’io in favore del tu, soltanto nel ‘sì’ alla vita più grande, propria di Dio, anche la nostra vita diventa ampia e grande”.
Questo principio, spiega il papa, stabilito da Gesù è alla fine lo stesso principio dell’amore: “L’amore… significa lasciare se stessi, donarsi, non voler possedere se stessi, ma diventare liberi da sé: non ripiegarsi su se stessi – cosa sarà di me –, ma guardare avanti, verso l’altro – verso Dio e verso gli uomini che Egli mi manda. E questo principio dell’amore, che definisce il cammino dell’uomo, è ancora una volta identico al mistero della croce, al mistero di morte e risurrezione che incontriamo in Cristo”.
“Ad una vita retta – precisa il pontefice - appartiene anche il sacrificio, la rinuncia. Chi promette una vita senza questo sempre nuovo dono di sé, inganna la gente. Non esiste una vita riuscita senza sacrificio. Se getto uno sguardo retrospettivo sulla mia vita personale, devo dire che proprio i momenti in cui ho detto ‘sì’ ad una rinuncia sono stati i momenti grandi ed importanti della mia vita”.
Il papa volge poi il pensiero ai momenti dello “spavento di Gesù”, “il suo spavento davanti al potere della morte, davanti a tutto l’abisso del male che Egli vede e nel quale deve discendere”. “Anche noi – spiega Benedetto XVI - possiamo pregare in questo modo. Anche noi possiamo lamentarci davanti al Signore come Giobbe, presentargli tutte le nostre domande che, di fronte all’ingiustizia nel mondo e alla difficoltà del nostro stesso io, emergono in noi. Davanti a Lui non dobbiamo rifugiarci in pie frasi, in un mondo fittizio. Pregare significa sempre anche lottare con Dio, e come Giacobbe possiamo dirGli: ‘Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!’ (Gen 32, 27)”.
Alla fine, però, “la gloria di Dio, la sua signoria, la sua volontà è sempre più importante e più vera che il mio pensiero e la mia volontà. Ed è questo l’essenziale nella nostra preghiera e nella nostra vita: apprendere questo ordine giusto della realtà, accettarlo intimamente; confidare in Dio e credere che Egli sta facendo la cosa giusta; che la sua volontà è la verità e l’amore; che la mia vita diventa buona se imparo ad aderire a quest’ordine. Vita, morte e risurrezione di Gesù sono per noi la garanzia che possiamo veramente fidarci di Dio. È in questo modo che si realizza il suo Regno”.
Ritornando poi al simbolo della Croce dei giovani che passa da Paese a Paese, accompagnata dai giovani, egli sottolinea: “Quando tocchiamo la Croce, anzi, quando la portiamo, tocchiamo il mistero di Dio, il mistero di Gesù Cristo. Il mistero che Dio ha tanto amato il mondo – noi – da dare il Figlio unigenito per noi (cfr Gv 3, 16). Tocchiamo il mistero meraviglioso dell’amore di Dio, l’unica verità realmente redentrice. Ma tocchiamo anche la legge fondamentale, la norma costitutiva della nostra vita, cioè il fatto che senza il ‘sì’ alla Croce, senza il camminare in comunione con Cristo giorno per giorno, la vita non può riuscire. Quanto più per amore della grande verità e del grande amore – per amore della verità e dell’amore di Dio – possiamo fare anche qualche rinuncia, tanto più grande e più ricca diventa la vita. Chi vuole riservare la sua vita per se stesso, la perde. Chi dona la sua vita – quotidianamente nei piccoli gesti, che fanno parte della grande decisione – questi la trova. È questa la verità esigente, ma anche profondamente bella e liberatrice, nella quale vogliamo passo passo entrare durante il cammino della Croce attraverso i continenti. Voglia il Signore benedire questo cammino. Amen”.
Foto: CPP