Pasqua fra i musulmani, nella terra di san Paolo
di Luigi Padovese*
Il vicario apostolico dell’Anatolia racconta il significato della Pasqua nell’anno dedicato a san Paolo. La comunità cristiana in Turchia si trova come agli inizi della sua evangelizzazione. I pellegrini stranieri, la fraternità fra cattolici e ortodossi, lo stupore per il fascino di Gesù fra i musulmani. Una domanda al governo turco per una chiesa a Tarso.

Antakya (AsiaNews) - La Pasqua di quest’anno in Turchia è tutta speciale perché si celebra l’Anno Paolino e san Paolo è colui che ha portato l’annuncio di Gesù morto e risorto nella nostra terra.

In un ambiente saturo di religiosità, com’era il mondo antico, l’apostolo di Tarso ha concentrato l’annuncio nella fede in Dio, mediata dalla realtà concreta della morte e resurrezione di Gesù.

Nessuna religione ha tratti più coinvolgenti di questa fede che crede nella nascita di Dio come povero e morto da crocifisso. Questo annuncio che ci richiama alla concretezza della fede cristiana è un messaggio nei confronti dei poveri e dei sofferenti, come delle vittime dell’ingiustizia. Esso è divenuto il leit-motiv della catechesi verso i nostri cristiani, fin dalla mia prima lettera pastorale.

Come ai tempi dell’apostolo viviamo nella sua terra in una società non cristiana. Siamo un gruppo minoritario che corre il rischio di smarrire la propria identità attraverso un concetto generico di fede in Dio. Per questa ragione gli eventi della Pasqua che celebriamo sono importanti: ci rimandano a contemplare l’evento fondativo della nostra fede.

Una richiesta al governo per la chiesa di Tarso

Un fatto che ci conforta è vedere che proprio in questi giorni vi è un flusso continuo di pellegrini, anche stranieri, ad Antiochia e nei luoghi di san Paolo. Questa regione era al di fuori dei tour dei pellegrinaggi; invece quest’anno è stata battuta da migliaia di pellegrini. Non sono turisti, ma fedeli alla ricerca del contatto con i luoghi in cui l’apostolo ha vissuto. Paolo è nato a Tarso, ma ha fatto parte della comunità cristiana di Antiochia e ad Antiochia è sempre ritornato per il suo ministero. In Turchia egli ha percorso almeno16 mila km!

La Pasqua perciò qui da noi deve avere per forza una marcatura paolina. A questo proposito, noi speriamo in un grande dono pasquale: il ritorno della chiesa di Tarso ai cristiani. La conferenza episcopale turca e quella tedesca, le autorità del governo tedesco e la segreteria di stato vaticana hanno richiesto di avere a Tarso una chiesa dove i pellegrini di qualsiasi confessione cristiana possano radunarsi a pregare. A Tarso vi è una chiesa cristiana antica, che però è stata trasformata in museo. Per quest’anno le autorità turche ne hanno permesso l’uso, senza pagare il biglietto del museo. Ma si tratta di una misura che sta per scadere. Invece noi desideriamo che a Tarso vi sia un punto dove i cristiani possano sempre fare memoria dell’apostolo, non in un museo, ma in una chiesa. E aspettiamo una risposta da parte delle autorità. Mi auguro che questa risposta positiva ci venga data almeno entro la fine dell’Anno paolino (il 29 giugno 2009). Il dono della chiesa sarà anche una sorta di cartina di tornasole per misurare quanto le autorità turche vogliono fare per garantire la libertà religiosa. Abbiamo bisogno di fatti concreti per credere che qualcosa sta davvero cambiando in questo Paese.

Nessuna gelosia fra cattolici e ortodossi

Qui in Turchia le celebrazioni della Pasqua hanno anche un carattere ecumenico. Noi latini siamo una piccola comunità. Quest’anno la data della nostra Pasqua anticipa di una settimana quella ortodossa. È bello vedere come fra le diverse comunità cristiane non c’è opposizione, ma condivisione: ci sono ortodossi che vengono alle nostre funzioni e cattolici che vanno alle funzioni degli ortodossi. Da parte degli ortodossi, soprattutto i giovani, c’è desiderio di gustare la nostra liturgia, anche perché quella latina è in lingua turca, mentre quella ortodossa è in lingua araba e questo crea problemi di comprensione. Fra le due comunità non c’è assolutamente alcuna gelosia. C’è invece un sostenersi reciproco. Molti bambini ortodossi vanno nelle nostre parrocchie per la catechesi, tenuta anche da insegnanti ortodossi. Non c’è volontà di proselitismo, ma desiderio di aiutarci reciprocamente  a seconda dei messi e delle possibilità di cui ciascuno dispone. Tutto è legato alla situazione comune di essere una minoranza religiosa e questo ci permette di superare tante prevenzioni e chiusure.

Il nostro essere minoranza rende la nostra situazione molto simile a quella degli inizi del cristianesimo, quella in cui si è trovato  Paolo nel suo annuncio. L’apostolo, nato in un ambiente di pluralismo religioso, ci insegna ad avere un atteggiamento di rispetto nei confronti degli “altri” e questo comportamento positivo sentiamo di doverlo applicare al mondo islamico. Nonostante tutto, il nostro atteggiamento è molto positivo anche nei riguardi dell’islam. Qui io trovo tanta gente di buona volontà, coscienziosa. E san Paolo mi ha davvero insegnato questa novità della coscienza come il luogo della profondità della persona di fronte a Dio.

I martiri e le conversioni

Devo però aggiungere che per alcuni miei cristiani la Via Crucis è un fatto di oggi, non una cosa del passato. All’interno del vicariato di Anatolia ci sono davvero situazioni difficili. L’esperienza del martirio di don Andrea Santoro e altri fatti hanno lasciato il loro strascico. Ci sono ancora cristiani vicini alla sofferenza di Gesù.

Ma vi sono anche musulmani che si avvicinano al cristianesimo proprio attraverso le sofferenze di Gesù. Un piccolo numero sono divenuti cristiani. La loro è stata una scelta sofferta e meditata per le conseguenze, i rischi, le fatiche che porta nella loro vita. Eppure divengono cristiani proprio partendo dal fascino di Gesù che ha sofferto [nel Corano Gesù sfugge alla morte e fa morire un sostituto – ndr]. Del resto, anche in passato l’umanità di Gesù è stata esaltata da alcune personalità musulmane come il poeta Mevlana e altri mistici sufi.

 

*vicario apostolico dell’Anatolia