La condanna a morte dei tibetani è "un omicidio di Stato”
di Nirmala Carvalho
Dura presa di posizione del leader tibetano Urgen Tenzin per le condanne a morte emanate ieri dal tribunale di Lhasa, in un processo ritenuto ingiusto. Ma la preoccupazione maggiore è per gli “oltre 6mila tibetani arrestati in modo arbitrario”, in gran parte in attesa di processo.

Dharamsala (AsiaNews) – “La condanna a morte dei due tibetani senza un equo processo è un omicidio di Stato”. Urgen Tenzin, direttore esecutivo del Tibetan Centre for Human Rights and Democracy, commenta in esclusiva per AsiaNews le condanne capitali emanate ieri, che ritiene persino meno gravi della generale situazione del popolo tibetano.

Ieri il tribunale di Lhasa ha condannato a morte i tibetani Lobsang Gyaltsen (28 anni) e Loyak (intorno ai 30), per l’incendio di negozi, durante le proteste di Lhasa nel marzo 2008, che ha causato la morte dei cinesi che lo gestivano. Secondo Pechino queste proteste hanno causato 19 morti, tutti cinesi. Fonti tibetane hanno sempre parlato di almeno 200 morti tibetani, uccisi da esercito e polizia.

Altri due tibetani – Tenzin Phuntsok e Kangtusk (22 ani) - hanno ricevuto la condanna a morte, ma con l’esecuzione sospesa per due anni. Dawa Sangpo è stato condannato all’ergastolo.

Xinhua ha detto che il processo è stato equo e gli accusati sono stati assistiti dai difensori. Ma analisti e i media internazionali hanno osservato che nessuno può verificarlo, in un Tibet vietato alla stampa estera da oltre un anno e nel quale sono ammessi solo pochissimi turisti con speciale permesso per partecipare a viaggi guidati.

Urgen spiega che “il processo non è stato equo. [Queste condanne] dimostrano solo che la Cina non si cura delle violazioni dei diritti umani e dell’opinione internazionale, segue soltanto le proprie politiche. I tibetani sono stati umiliati e stritolati dai repressivi funzionari cinesi”.

La situazione nella regione è tale che Urgen dice che è preoccupato “più per il numero dei tibetani arrestati e detenuti in modo arbitrario, che per questa grave ingiustizia e grossolana violazione dei diritti umani”.

Ricorda che nelle proteste del marzo 2008 e in seguito “oltre 6mila tibetani sono stati arrestati e circa 2.019 già processati in processi non equi, spesso sotto tortura fisica e psicologica per estrarre da loro ‘confessioni’.”

Nei mesi scorsi le zone abitate da tibetani sono state sotto legge marziale di fatto, per timore di proteste in occasione dell’anniversario di quelle del 2008. E’ stata repressa qualsiasi protesta, anche pacifica, con l’arresto e percosse.