Papa: la vera autorità e la retta ragione non sono mai in contrasto, hanno in Dio la stessa fonte
Illustrando all’udienza generale il pensiero di Giovanni Scoto Eriugena, teologo irlandese del IX secolo, Benedetto XVI evidenzia come nel leggere la Scrittura “la ragione si apre un cammino sicuro verso la verità”, avendo una “costante diponibilità verso la conversione”.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Autorità e ragione non possono essere mai in contrasto, in quanto entrambe hanno la stessa fonte, che è la sapienza divinza, rivelatasi nelle Sacre Scritture Dio, e per questo non può esservi alcuna comprensione di ciò che Dio ha donato all’uomo senza una rigorosa analisi del testo biblico e senza la disponibilità alla conversione. E’ la sintesi del pensiero di Giovanni Scoto Eriugena, il “notevole pensatore” dell’Occidente cristiano, la figura e il pensiero del quale sono stati illustrati oggi da Benedetto XVI alle 15mila persone presenti in piazza San Pietro per l’udienza generale.
 
Nato in Irlanda all’inizio dell’800, “non sappiamo quando lasciò la sua isola e traversò la Manica” per entrare a far parte della cultura del rinascimento carolingio del IX secolo, in particolare dell’epoca di Carlo il Calvo, della cui corte fece parte. Morì intorno all’anno 870. Scoto conosceva la cultura patristica sia greca che latina “di prima mano”: Agostino, Ambrogio, Gregorio Magno, ma anche Origine, Giovanni Crisostomo e altri padri. Particolare attenzione ebbe per gli scritti di Dionigi, “fonte eminente del suo pensiero”, tanto che “ancora oggi è arduo distinguere” in alcuni passaggi dove è il pensiero di Scoto e dove invece quello di Dionigi, del quale tradusse in latino le opere, che così furono conosciute.
 
Il suo “lavoro teologico suo non ebbe molta fortuna”, a causa della fine dell’età carolingia e di una “censura eccclesiastica” originata dal fatto che “a volte smbra avvicinarsi a una visione panteistica, anche se le sue intenzioni furono sempre ortodosse”. Nelle sue opere ci sono però “stimolanti suggestioni teologiche e spirituali” valide ancora oggi.
 
I suoi scritti sono “importanti” soprattutto per ciò che “viene presentato come auctoritas” e sulla “necessità ci continuare a cercare la verità”. Egli è “convinto che l'autorità e la ragione non possono mai essere in contrasto una con l'altra” e che “la vera religione e la vera filosofia coincidono. In questo senso, scriveva, ‘qualunque tipo autorità che non venga confermata da una vera ragione dovrebbe essere considerata debole. Non è infatti vera autorità se non quella che coincide con la verità scoperta in forza della ragione, anche se si dovesse trattare di una autorità raccomandata e trasmessa per l'utilità dei posteri dai Santi Padri', e ammoniva: ‘nessun autoritarismo ti distragga da ciò che ti fa capire la persuasione o una retta contemplazione razionale. Infatti l'autentica autorità non contraddice mai la retta ragione né quest'ultima può mai contraddire una vera autorità. L'una e l'altra provengono senza alcun dubbio dalla stessa fonte che è la sapienza divina’. Quindi - ha sottolineato il Papa - vediamo il coraggio della ragione che risulta da una certezza che l'autorità vera è ragionevole, perché Dio è la ragione creatrice”.
 
Da Dio ci è stata data la Scrittura che “non sarebbe stata necessaria se l’uomo non avesse peccato”, “si deve dedurre che la Scrittura fu data da Dio con intento pedagogico, perché l’uomo ricordasse ciò che la caduta gli avesse fatto dimenticare” e che “la Parola ci aiuta a ritornare al ricordo di ciò che come immagine di Dio portiamo nel nostro cuore”. Da ciò “derivano alcune conseguenze nell’interpretazione, anche oggi per valide”. “La Parola glorifica la nostra ragione un po’ cieca” e attraverso essa “la ragione si apre un cammino sicuro verso la verità” avendo una “costante diponibilità verso la conversione”, perché “solo grazie alla costante purificazione dell’occhio del cuore e della mente che si può conquistare l’esatta comprensione”. “Questo cammino porta la creatura intelligente fin sulla soglia del mistero divino” e “il riconoscimento adorante e silenzioso del mistero si rivela come l’unica strada per una relazione con la verità che sia la più intima e la piu rispettosa dell’alterità”.
 
“Il pensiero teologico è la dimostrazione piu palese del tentativo di esprimere l’indicibile mistero di Dio”, “le tante metafore” utilizzate da Scoto “dimostrano quanto sia consapevole dell’inedeguatezza dei termini coi quali parliamo di queste cose. tuttavia resta l’esperienza mistica” e “l’incanto che scopriamo in questi testi”. Ricordando affermazioni del teologo irlandese, per il quale “non si deve desiderare altro se non la gioia della verita che è in Cristo” e “il piu grave tormento di una creatura razionale è l’assenza di Lui. Sono parole - ha concluso Benedetto XVI - che possiamo fare nostre e che costituiscono l’anelito del nostro cuore”.