Termina il processo contro Chen Shuibian, la sentenza sarà emessa l’11 settembre
Nelle ultime udienze l’ex presidente ha insistito che è innocente e vittima di un processo politico filo-Pechino. Se ritenuto colpevole, rischia l’ergastolo. A luglio la moglie e il figlio si sono dissociati dalla sua posizione, ammettendo in parte le accuse.

Taipei (AsiaNews/Agenzie) – La sentenza contro l’ex presidente Chen Shuibian e la moglie Wu Shuchen, accusati di corruzione, riciclaggio di denaro e altri gravi reati, sarà emessa l’11 settembre. Lo ha annunciato ieri un portavoce della Corte, dopo l’ultima udienza.

Nell’arringa finale, la pubblica accusa ha riaffermato non solo la colpevolezza di Chen, ma lo ha anche accusato di avere agito senza vergogna e “con totale mancanza di coscienza”.

L’ex presidente, in carcere dal 30 dicembre per timore di fuga e di inquinamento delle prove, ha sempre rigettato ogni accusa e ritorce trattarsi di un processo politico voluto dall’attuale presidente Ma Yingjeou per compiacere Pechino. Infatti egli è sempre stato un accesso indipendentista che si è attirato il continuo biasimo della Cina. Dopo avere sempre mantenuto il silenzio, Chen il 28 luglio ha preso la parola per ribadire che si tratta di un processo iniquo. Ieri il suo avvocato ha insistito che le somme ricevute sono semplici “donazioni politiche” per finanziare attività di propaganda. Se ritenuto colpevole, l'ex presidente rischia l’ergastolo.

Oltre alla moglie di Chen, sono imputati per vari reati anche il figlio Chen Chihchung, la nuora Huang Juiching, il cognato Wu Chinmao e più di 10 altre persone tra i suoi più stretti collaboratori. Il figlio questo mese ha ammesso di avere aiutato la madre a portare all’estero fondi ritenuti di provenienza illecita, distaccandosi dalla linea del padre di totale negazione. Egli ha anche ammesso di avere aperto due conti bancari in Svizzera, su richiesta della madre, dove sono transitati 21 milioni di dollari Usa.

In un risvolto drammatico, all’inizio di luglio Wu ha chiesto al marito di riconoscersi colpevole, anche per scagionare il figlio e la nuora, che si sono sempre detti ignari della provenienza del denaro. Wu ha ammesso di avere portato denaro all’estero, ma insiste che lo ha ricevuto solo quale donazione politica.