Esule birmano: La giunta militare del Myanmar sopravvive grazie all’ipocrisia del mondo
di Tint Swe
Le politiche ambigue e conniventi dell’India e dei Paesi occidentali. La situazione di estrema povertà della popolazione e lo strapotere della giunta militare. Tint Swe, membro del governo in esilio costituito dai rifugiati del Myanmar dopo le elezioni del 1990, descrive la situazione del suo Paese alla vigilia del verdetto del processo contro Aung San Suu Kyi e in vista delle elezioni del 2010.
New Delhi (AsiaNews) - Pubblichiamo un'analisi sulla situazione del Myanmar di Tint Swe (nella foto), membro del consiglio dei ministri del National Coalition Government of the Union of Burma (NCGUB) costituito da rifugiati del Myanmar dopo le elezioni del 1990 vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia e mai riconosciute dalla giunta militare. Tint Swe milita nel partito di Aung San Suu Kyi ed ha partecipato al suo fianco all’ultima campagna elettorale celebrata nel Paese ormai 19 anni fa. Alla vigilia del verdetto del processo alla “Signora”, atteso per venerdì 31, ed in vista delle prossime elezioni fissate per il 2010 racconta la situazione del Myanmar chiamandolo apposta Birmania “in segno di protesta simbolica contro il regime che ha cambiato il nome del Paese”. Fuggito in India nel 1990, dal 21 dicembre del 1991 vive a New Delhi. Da allora fa parte del NCGUB dove ricopre l’incarico di responsabile dell’informazione per l’Asia del Sud e Timor Est.
 
La situazione in Birmania va di male in peggio. L’economia di libero mercato, gli investimenti stranieri e gli scambi commerciali con Cina, India e i Paesi dell’Asia del sud non possono portare la Birmania fuori dalla lista dei Paesi in via di sviluppo dove da oltre venti anni occupa le posizioni più basse. I militari stanno preparandosi per una nuova fase in cui legalizzare il loro controllo del potere con l’indizione delle nuove elezioni nel 2010. I gruppi etnici sono sottoposti a tremende pressioni per essere trasformati in guardie di frontiera con le buone o con le cattive. I due giorni di visita nel Paese compiuti lo scorso mese dal Segretario generale dell’Onu sono serviti soltanto ad un accordo a parole secondo cui il regime dovrebbe garantire una cosiddetta amnistia prima delle elezioni: in realtà essa comporterà il rilascio di molti criminali e di pochi prigionieri politici.
 
Ci sono da aggiungere poi altri importanti dati sulla situazione del Paese. La Birmania ha acquisito un potere nucleare mentre le condizioni di vita della popolazione sono estremamente povere. Il Paese sta vendendo gas naturale a Thailandia e Cina mentre la gente deve fare legna tagliando gli alberi per poter cucinare. Secondo un’indagine fatta dall’Undp, nel 2005 un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà. L’inflazione ha delle pesanti ricadute sull’economia ed il prezzo del riso, per esempio, è salito del 30% solo durante l’ultimo anno. Ma nel contempo il regime è talmente ricco da potersi permettere di costruire, grazie all’aiuto della Nord Corea, una rete di tunnel sotterranei segreti che sono costati miliardi di dollari.
 
Ci sono chiare differenze tra le posizioni del governo indiano e il movimento per la democrazia nella Birmania. Una di queste è costituita dalla controversa roadmap del regime, ritirata in modo unilaterale e accantonata dai militari nel 2003 subito dopo aver aggredito Aung San Suu Kyi e averla messa per la terza volta agli arresti. L'Assemblea nazionale è ridotta ad un mero teatrino di facciata. La costituzione è assolutamente debole. Nessun civile, nemmeno una donna, può diventare presidente. Il referendum è stata un’enorme truffa e lo saranno anche le elezioni del 2010.
 
Io chiedo che tutti i Paesi smettano di vendere armi al regime birmano perché esse servono ad uccidere gli attivisti per la democrazia e le popolazioni tribali. E ripeto all’India di smettere di difendere il regime nei forum internazionali alle Nazioni Unite, all’Organizzazione internazionale del lavoro e alla Commissione internazionale dei diritti dell’uomo dell’Onu.
 
Nel 2007, mentre centinaia di monaci protestavano, l’India è stato l‘unico Paese a mandare un ministro a firmare un memorandum d’intesa con la giunta. Ancora prima l’india aveva dato il suo pieno supporto alla roadmap del regime birmano con la visita del suo presidente A.P.J. Abdul Kalam, avvenuta il 9 marzo del 2006. E come se non bastasse sempre l’India ha mandato un suo ministro ai funerali del premier birmano conosciuto per avere le mani insanguinate dalla soppressione dei sostenitori della democrazia.
 
L’approccio costruttivo messo in atto dai Paesi dell’Asean non ha avuto effetti. Allo stesso tempo le sanzioni dei Paesi occidentali sono state attenuate per ragioni umanitarie, ma quando la giunta ha deliberatamente bloccato gli aiuti internazionali per le vittime del ciclone Nargis, che ha causato 138mila morti, non si è alzata nessuna voce di protesta. Questo gioco non aiuta la popolazioni povera del Paese. Ora la nuova amministrazione degli Stati Uniti sta rivedendo la sua politica verso la Birmania. Mi chiedo perché l’India non faccia lo stesso.
 
(ha collaborato Nirmala Carvalho)