Yangon, "vertice" fra Aung San Suu Kyi e diplomatici occidentali sulle sanzioni
La leader dell’opposizione birmana ha incontrato gli ambasciatori di Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia. Al centro dei colloqui le sanzioni imposte dalla comunità internazionale al regime militare. Il colloquio autorizzato dalla giunta militare, che sembra accettare la proposta di collaborazione della “Signora”.
Yangon (AsiaNews/Agenzie) – La leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi ha incontrato gli ambasciatori di Stati Uniti, Australia e Gran Bretagna. Il colloquio è stato autorizzato dalla giunta militare, che spera di utilizzare il carisma internazionale della Nobel per la pace per alleggerire le sanzioni verso il Myanmar.
 
L’incontro di oggi si è tenuto nell’edificio governativo di Senile Kanthar ed è durato circa un’ora, tra le 10 e le 11 del mattino. Il "vertice" di oggi segue i colloqui del 7 ottobre scorso fra la “Signora” e Aung Kyi, il ministro nominato ad hoc dai militari per trattare con l’opposizione.
 
Una fonte diplomatica locale conferma che il discorso “era strettamente focalizzato sulle sanzioni”; a fine settembre la leader della Lega nazionale per la democrazia ha scritto una lettera personale al generalissimo Than Shwe, in cui ha manifestato la propria disponibilità a cooperare con il regime per una rimozione delle sanzioni internazionali.
 
Unica condizione imposta da Aung San Suu Kyi per cooperare con la giunta, la possibilità di incontrare i diplomatici di Stati Uniti, Australia e Gran Bretagna, per capire l’entità e la tipologia delle sanzioni. Washington ha precisato di voler proseguire i colloqui con la dittatura militare birmana, pur mantenendo multe e bandi al commercio con il Paese.
 
La leader della Lega nazionale per la democrazia è attualmente agli arresti domiciliari, dopo la condanna a 18 mesi inflitta da un tribunale birmano – confermata nei giorni scorsi in appello – per aver ospitato un cittadino americano che si era introdotto nella sua abitazione. Una vicenda che è sembrata una montatura, creata ad arte dal regime, per impedire ad Aung San Suyu Kyi di partecipare alle elezioni politiche in programma nel 2010.