Per mancanza di fondi l’Onu taglia gli aiuti ai profughi bhutanesi in Nepal
di Kalpit Parajuli
Dal prossimo gennaio oltre 90mila rifugiati, da 17 anni nei campi profughi, rischiano di non avere cibo sufficiente per sopravvivere. Leader dei profughi afferma: ”Se ci fosse concesso di rientrare nel nostro Paese non dovremmo dipendere dagli aiuti dell’Onu”.

Kathmandu (AsiaNews)  - “Non abbiamo lavoro e nessuna proprietà legale in Nepal. Come possiamo mandare a scuola i nostri figli e comprare il cibo se l’Onu taglierà gli aiuti?”. È quanto afferma Geeta Rai,  rifugiata bhutanese in Nepal, che aggiunge “se dobbiamo morire di fame siamo pronti a non ricevere più alcun sostentamento”. Per mancanza di fondi il World Food Program (Wfp) dell’Onu ha annunciato lo scorso 16 ottobre di voler dimezzare gli aiuti ai campi profughi del Nepal orientale. Geeta e altri 90mila rifugiati rischiano dal prossimo gennaio di non avere più cibo sufficiente per sopravvivere.

“Siamo molto preoccupati per le conseguenze dovute al taglio delle razioni di cibo”, afferma Richard Ragan, rappresentante del Wfp in Nepal, “senza gli aiuti, le persone più vulnerabili [bambini e anziani] saranno costrette a mangiare una sola volta al giorno”.

Tra il ‘77 e il 91, durante il regime dell’allora re Jigme Singye Wangchuck, in Bhutan ha luogo una vera e propria campagna di nazionalizzazione del Paese, che mira alla costruzione di uno stato basato sulla cultura buddista e privo di influenze esterne. Per la minoranza nepalese di religione indù, all’epoca circa un terzo della popolazione, inizia una vera e propria deportazione oltre confine, conclusasi negli anni ‘90 con l’espulsione di circa 105mila civili. Dopo 17 anni essi non hanno ancora nessun diritto legale in Nepal e solo ad alcuni  è consentito uscire dai campi per lavorare o andare a scuola. Gli aiuti dell’Onu sono per loro l’unico sostentamento. 

Teknath Rijial, leader dei rifugiati del campo di Khudunabari, afferma: “Se ci fosse concesso di ritornare nel nostro Paese, non dovremmo dipendere dagli aiuti dell’Onu. Abbiamo ancora le nostre proprietà in Bhutan, che il governo ha sequestrato dopo averci espulso”. Il leader aggiunge che “se non abbiamo diritto a vivere, l’Onu e il Nepal dovrebbero continuare a inviare aiuti sufficienti a sfamarci. Non possiamo andare avanti riempiendo solo metà stomaco”.

A oggi, il governo del Bhutan non ha ancora concesso il rientro in patria dei profughi nonostante la “svolta” democratica del 2008 e le varie sedute di dialogo con le autorità nepalesi. Per risolvere la drammatica situazione dal novembre 2007 Stati Uniti e comunità internazionale hanno offerto asilo a circa 20mila rifugiati. Restano più di 78mila  persone bloccate all’interno dei campi in attesa di asilo.  Per molti la speranza è ancora quella del rientro in patria.