Io, Stephen James Taluja, da giovane sikh a missionario cattolico
di Nirmala Carvalho
Figlio di una famiglia di devoti sikh è oggi membro dei Maryknoll,l'istituto missionario Usa. Racconta ad AsiaNews la sua infanzia, l’incontro con Cristo, il Dio potente nella debolezza della croce, i “giorni di tormento” per le incomprensioni con il padre dopo la conversione. Sino al giorno dell’ordinazione in cui ha visto con i suoi occhi cosa significhi “Dio è fedele”.
Chandigarh (AsiaNews) - Da devoto sikh a sacerdote cattolico. è la storia di Jaideep Singh, da pochi mesi divenuto missionario di Maryknoll, società di vita apostolica nata negli Stati Uniti agli inizi del ‘900. Oggi si chiama p. Stephen James Taluja.
 
Classe 1981, ultimo figlio di un'importante famiglia sikh indiana, unico maschio tanto atteso dai genitori dopo tre figlie femmine. P. Stephen racconta ad AsiaNews la sua vicenda unica e personale che ruota tutta attorno alla scoperta che Cristo è il Dio potente "nella debolezza" e alla certezza che “Dio è fedele”.
 
“Mia madre era una donna molto devota che ci ha introdotto agli insegnamenti del guru Granth Sahib educandoci in casa alla preghiera e alla recita degli inni delle sacre scritture. Mio padre mi accompagnava al gurdwara, il tempio sikh, e mi ha cresciuto nella fede dell'onnipotente. I miei genitori hanno instillato in noi figli l'amore per Dio ed il senso del servizio alla comunità”.
 
Il giovane Jaideep studia alla St Stephen’s School di Chandigarh, capitale del Punjab. Harold Carver, rettore e fondatore dell'istituto ricorda bene quel giovane sikh che "eccelleva negli sport e giocava nella nazionale di calcio under 19 dello Stato, amava la musica e cantava nel coro della scuola”.
 
Per le sue qualità canore il piccolo Jaideep viene invitato a cantare alla messa di mezzanotte della Vigilia di Pasqua nella locale chiesa di St. Sebastian. Ha 13 anni e frequenta la 7ma classe. È la prima volta che mette piede in una chiesa cattolica e l'ora inusuale rende l'occasione ancora più particolare per il giovane sikh. Oggi racconta: “Di quella notte ho il ricordo vivido del crocifisso appeso al muro e di tutta la gente in ginocchio a pregare. Non capivo come fosse possibile pregare un Dio morente e così debole. Per me Dio doveva trasudare forza e potere. E questo Dio era proprio il contrario”. P. Stephen ricorda “il fascino della liturgia eucaristica, la preghiera comune e lo svelarsi di un modo totalmente nuovo per me”. Esce dalla messa con negli occhi “il crocifisso ed il Signore crocifisso" e nella testa “affiorano domande sul significato della vita”.
 
Dopo quella notte per Jadeep inizia un lungo cammino. “Mia madre aveva notato che c'era qualcosa di nuovo in me e credo avesse colto il mio iniziale interesse per il cristianesimo, però non mi diceva niente”. Jaideep si rivolge al rettore Carver, a lui pone le sue domande. Che si fanno sempre più insistenti anche in seguito alle vicende familiari che intervengono nella vita del ragazzo.
 
La scomparsa improvvisa della madre rende ancor più urgente il bisogno di capire il senso della vita e delle morte. P. Stephen parla oggi di “buio dell'anima” ricordando quel periodo. “Mi chiedevo dove fosse Dio in tutto quello che mi stava accadendo, quale fosse il senso della vita”. La paziente compagnia di Harold Carver segna i “giorni di tormento” del giovane sikh che ricorda: “Ad un certo punto ho cominciato a vedere il legame tra vita e morte intuendo che Gesù morto e risorto era il modello per noi”.
 
La memoria di quel periodo, in cui all'angoscia seguì l'affiorare della fede, è per p. Stephen motivo di “orgoglio e gratitudine”. “La mia famiglia aveva piantato nella mia anima il seme della religiosità, il rettore Carver quello del cattolicesimo e di una vita da spendere per testimoniare il Vangelo”.
 
Jaideep decide di parlare con il padre dell’idea di farsi cristiano. “Scoppiò l’inferno. Era seccato, arrabbiato e offeso. Chiamò le mie sorelle per chiedere loro informazioni sulla mia nuova fede”. Il giovane sacerdote oggi dice: “Furono giorni davvero pesanti e sconvolgenti per tutta la famiglia… così cominciò la mia personale partecipazione alla passione e crocifissione di Cristo”.
 
Il 1 marzo 1999 Jaideep viene battezzato e sceglie il nome della sua scuola Stephen James. “Sono diventato cattolico in segreto e per 3-4 anni la mia famiglia non ha saputo nulla. Non volevo ferire ancora di più mio padre che mi amava così tanto e però non capiva le mie scelte”.
 
L’anno dopo Stephen parte per gli Stati Uniti per studiare informatica. Vive a New York. Per guadagnare qualche soldo lavora di notte a una pompa di benzina. Ogni mattina presto va a messa nella parrocchia  intitolata ad San Elizabeth Ann Seton a Shrub Oak. Anche lì canta nel coro ed un giorno la direttrice Patti Copeland fa conoscere a Stephen alcuni missionari di Maryknoll. Il giovane ricorda: “I loro racconti dell’aiuto ai poveri in giro per il mondo rimasero impresse nella mia mente di giovane 20enne”.
 
“Da tempo sentivo emergere in me il desiderio innato di comunicare con Dio, di dedicare tutto me stesso alla contemplazione”. Stephen trova le radici di questo suo sentimento nell’educazione ricevuta in famiglia: “Essendo indiano ed avendo ricevuto da mia madre e dalla nostra cultura un profondo senso della divinità ero affascinato dalla vita mistica e nei primi tempi di New York avevo pensato anche a farmi monaco trappista”.
 
Nel 2001 il giovane indiano viene invitato ad un ritiro di Pasqua e capisce di essere chiamato alla vita consacrata. Stephen entra in seminario, ma non dice ancora nulla al padre e alle sorelle, “preoccupato per il dolore e la tensione che la decisione avrebbe potuto causare alla mia famiglia”.
 
“È stato un periodo di angoscia nella mia vita”, racconta il ragazzo. “Sapevo che mio padre ed i membri della mia famiglia venivano derisi, disprezzati e umiliati per la mia decisione di diventare cattolico”. La cultura sikh attribuisce all’unico maschio un grande importanza nella cerchia familiare. “Hai la responsabilità di portare avanti il nome della tua stirpe, di prenderti cura dei genitori quando diventano anziani – afferma Stephen – e io tutto questo non potevo più farlo per la decisione che avevo preso”.
 
I giorni della formazione sacerdotale passano accompagnati dal tormento di far soffrire i propri cari e soprattutto il padre. “Ma Dio è fedele “ dice il ragazzo. “Soffrivo, ma sapevo che Dio avrebbe dato a mio padre una ricompensa molto più grande di quanto io stesso potessi desiderare”.
 
Stephen studia alla St. Xavier University di Chicago, frequenta il Maryknoll's Language Institute di Cochabamba, in Bolivia, e per due anni vive e lavora nella missione di Aymara, sull’altopiano peruviano.
 
Il 30 maggio del 2009 è il giorno dell’ordinazione sacerdotale. A New York arrivano le tre sorelle di Stephen: Anu, Manpreet e Jaipreet, che vivono in Europa e in America. Le autorità Usa non concedono il visto al padre. “Ma è stato uno dei giorni più felici della mia vita”, dice il giovane sacerdote. “Mio papà voleva essere con me e tramite le mie sorelle mi ha fatto arrivare la sua benedizione e il segno del suo sostegno alla mia scelta. Voleva che io sapessi che era orgoglioso di me e si era riconciliato con la mia vocazione”.
 
Divenuto sacerdote dei missionari di Maryknoll (nella foto il giorno della prima messa). Il giovane prete inizia una nuova vita e nel giorno dell’ordinazione, officiata da mons. Timothy Dolan, arcivescovo di New York, riceve messaggi di auguri da persone fino a quel momento sconosciute che avevano saputo della sua storia attraverso amici o altri missionari . “Mi hanno scritto che avrebbero pregato per me, divenuto prete proprio durante l’Anno sacerdotale – dice p. Stephen – ed io mi sono sentito onorato e privilegiato ad essere un prete cattolico, benedetto dalla preghiera di così tanta gente in giro per il mondo. Tutto questo ha reso ancor più forte il mio desiderio di essere un sacerdote santo ed un missionario che serve Dio servendo il suo popolo”.