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Eliminare "Dio" dall’inno nazionale. I comunisti russi contro Putin e il patriarcato
di Evgeny Vorotnikov
Per un parlamentare il riferimento a Dio mina l’unità nazionale, discrimina le religioni non cristiane e non rispetta i sentimenti degli atei. Per il vice-presidente della camera, Sliska, è una “iniziativa rozza”. Il Patriarcato di Mosca: la maggioranza accetta questo inno quindi “non c’è ragione per rimuovere la frase che menziona Dio”.
Mosca (AsiaNews) - Il Partito Comunista della Federazione Russa (Kprf) vuole cancellare il riferimento a Dio dal testo dell’inno nazionale. Boris Kashin, della Camera dei deputati di Mosca (Duma), ha presentato una proposta di legge per sostituire la frase dell'inno che dice “protetti da Dio come la nostra amata terra natale” ,con “da noi protetti come la nostra amata terra natale”.
Per il membro del Kprf il riferimento a Dio mina l’unità nazionale e disgrega la società multietnica russa. Kashin lamenta che l’inno non rispetta le diverse relgioni non cristiane riconosciute nella federazione e offende anche i sentimenti degli atei.
Già nel 2005 Alexander Nikonov, presidente della Società Atea di Mosca, aveva affermato che la frase incriminata contrastava con i diritti costituzionali dei cittadini ed aveva sporto denuncia presso la Corte Costituzionale. Come allora anche oggi nessuno crede che l’inno verrà modificato anche perchè la proposta di Kashin non ha incontrato il sostegno di nessun leader politico russo. Tuttavia la vicenda ha riaperto la polemica che ciclicamente emerge attorno all’inno e alla citazione di Dio.
La proposta dell’esponente del Kprf è stata bollata da Lyubov Sliska, vice-presidente della Duma e del partito Russia Unita, come una “iniziativa rozza”. “Se i comunisti pensano che la parola 'Dio' è in contraddizione con la Costituzione – ha detto Sliska – significa che credono di poter mettere loro stessi al posto di Dio e questo è un granve errore”.
Anche il Patriarcato di Mosca è intervenuto nel dibattito scaturito dalla proposta-Kashin. Padre Vsevolod Chaplin, capo del dipartimento sinodale per il dialogo tra Chiesa e società, ha affermato che “la maggioranza del nostro popolo ha adottato questo inno e nonostante qualcuno sia ancora contrario non c’è ragione per rimuovere la frase che menziona Dio”.
La storia dell’inno russo è legata al periodo sovietico. La musica fu composta da Alexander Alexandrov ; il testo da Sergej Mijalkov. Venne eseguito per la prima volta nel 1944 in sostituzione dell’Internazionale. Il testo conteneva lodi a Stalin che vennero poi cancellate nel 1953 con la fine del culto della personalità tributato al “Piccolo padre”. Con la morte del dittatore, l’inno fu mantenuto ma venne suonato senza testo sino al 1977 quando Mijalkov realizzò la nuova versione. Con la caduta dell’Unione Sovietica il Paese rimase senza inno sino a che Vladímir Putin, nel 2000, decise di recuperare la musica accompagnandola con il nuovo testo in cui la Russia è celebrata come “patria santa”, “unica”, “inimitabile” e “protetta da Dio”.
La polemica sull’inno riemerge in modo ciclico e trova spazio nel dibattito pubblico soprattutto perché mette in luce un aspetto molto dibattuto dell’era Putin: l’uso della religione per cementare l'unità nazionale. Il premier viene infatti accusato di voler restaurare una nuova forma di zarismo in cui l’ortodossia viene ridotta ad ancella del potere politico.
Boris Nemtsov, già vicepremier di Eltsin e oggi leader della coalizione di forze democratiche Solidarnost, ha descritto con toni duri questa linea nel suo ultimo libro “Disastro Putin. Libertà e democrazia in Russia”. Scrive Nemtsov: “ Il comunismo aveva la propria ideologia, Putin non ha nulla, perciò usa l'ortodossia in qualità di ideologia”. Per l’ex uomo di Elstin anche il Patriarcato di Mosca, soprattutto sotto la guida di Alessio II, non è rimasto immune da responsabilità. Per Putin il connubbio tra azione politica e tradizione religiosa è alla base di un potere solido nella Russia di oggi. Nemstov parla di un “regime” che “si basa su due pilastri: ortodossia e autarchia”. Ma aggiunge che, per quanto forte, “è una struttura che non è destinata a durare”.