Ancora in forse la data delle elezioni irakene
di Layla Yousif Rahema
Membri Onu e Usa lavorano perché non vi sia un nuovo veto da parte del vicepresidente. I sunniti scontenti a causa delle vittorie curde. Anche le alleanze politiche sono in divenire. Forse il voto sarà a febbraio. Timori per una divisione etnico-religiosa del Paese.
Baghdad (AsiaNews) – Per molti irakeni il ritardo delle elezioni è già una certezza, mentre i funzionari Onu e quelli dell’ambasciata Usa a Baghdad tentano di convincere il vice presidente Tariq al Hashimi a non mettere il veto per la seconda volta alla legge elettorale, il cui testo è stato emendato di recente dal Parlamento. Essi cercano di evitare uno slittamento del voto oltre gennaio, che comporterebbe anche un posticipo del piano di graduale disimpegno militare di Washington, cavallo di battaglia del presidente Obama.
 
La diplomazia è in cerca di un compromesso che - senza modificare la legge propugnata l’8 novembre scorso dopo estenuanti trattative – accolga le obiezioni del vice capo di Stato sunnita. Ma ormai, anche se si supera l’impasse e si arriva all’agognata ratifica presidenziale, non ci sarà più tempo per organizzare le elezioni programmate per metà gennaio. A dirlo è lo stesso presidente della Commissione elettorale indipendente irachena (Ihec), Faraj al-Haidari, che ha già sospeso tutti i preparativi:“Ritengo che sia molto difficile tenere le elezioni a gennaio. La cosa più probabile è che possano essere spostate a febbraio”.
 
I dissidi interni al Parlamento iracheno sono numerosi, ma oggi vertono in particolare sui recenti emendamenti alla legge elettorale. Hashimi è scontento perché nel nuovo testo non trovano spazio le sue richieste di rappresentanza equa per gli iracheni espatriati. I sunniti sono furiosi perché si vedono penalizzati a favore dei curdi, unici veri “vincitori” in questo tira-e-molla politico. Dopo le minacce di boicottare le urne, i curdi hanno ottenuto un numero maggiore di seggi per le tre province che formano la loro regione semiautonoma, a scapito di quelle a maggioranza sunnita. In particolare Ninive, Salahuddin, e anche Kirkuk. Usama al Nujaifi, fratello del governatore della provincia di Ninive, parla di “grave violazione costituzionale, un modo per rubare seggi alle province sunnite del nord e darli a quelle del Kurdistan”. In quest’ottica c’è anche chi vede nell’attentato di ieri alla chiesa di St Ephrem a Mosul non la mano del fondamentalismo religioso, bensì “forti interessi politici di controllo del territorio in vista delle elezioni”.
 
Ancora in divenire sono pure le alleanze politiche. Hashimi ha annunciato ieri che entrerà in un’ampia coalizione (almeno 14 partiti di diversa natura) guidata da leader di spicco, molti dei quali legati al defunto partito Baath di Saddam. In testa c’è l’ex premier sciita e ultralaico Iyad Allawi. Il “cartello elettorale” verrà annunciato ufficialmente a giorni, ma Hashimi ha già fatto sapere che questa lista “è la cosa migliore per il futuro dell'Iraq, in quanto i suoi leader credono tutti nell’unità del suolo iracheno, respingono il confessionalismo e hanno fede nell'arabismo della patria irachena”.
 
Al di là delle belle parole, però, a giudicare anche solo dal sofferto iter della legge elettorale, diversi iracheni sono ormai convinti che “il rischio di giungere alla divisione territoriale del Paese su linee etnico-confessionali è sempre più concreto”.