Il papa nella sinagoga di Roma: Lode al Signore per il dono di ritrovarci assieme
In un’atmosfera di fraternità e commozione, Benedetto XVI ha incontrato la comunità ebraica di Roma. Omaggio alle vittime della Shoa e del terrorismo. Solo un leggero accenno alla polemica su Pio XII. È urgente lavorare e testimoniare insieme il Decalogo, “un ‘grande codice’ etico per tutta l’umanità”.
Roma (AsiaNews) – La visita di Benedetto XVI alla comunità ebraica di Roma si è svolta in un’atmosfera di fraternità e commozione. Nel suo discorso davanti alla comunità riunita nella sinagoga, il papa ha sottolineato che “l’atteggiamento spirituale più autentico per vivere questo particolare e lieto momento di grazia [è] la lode al Signore, …. per averci fatto il dono di ritrovarci assieme a rendere più saldi i legami che ci uniscono”.
 
Nei giorni che hanno preceduto la visita, all’interno della comunità ebraica italiana vi è stato un forte dibattito sul partecipare o no all’incontro col papa. La polemica è legata alla figura di Pio XII, del quale Benedetto XVI ha riconosciuto le “virtù eroiche” aprendo il cammino alla sua beatificazione. Per molti ebrei papa Pacelli è accusato di essere stato troppo in “silenzio” di fronte allo sterminio nazista. Il Vaticano a suo tempo ha precisato che riconoscere le virtù eroiche del pontefice non conclude un eventuale giudizio storico sull’operato di Pio XII, che sarà reso possibile con sempre maggiori acquisizioni storiche. A causa delle differenze di giudizio, alcuni rabbini italiani hanno deciso di non partecipare all’incontro odierno col pontefice.
 
Di questa polemica è rimasta qualche traccia negli interventi di oggi, soprattutto in quello di Riccardo Pacifici, presidente della comunità ebraica di Roma che, pur ringraziando tanti cattolici che hanno aiutato gli ebrei nel periodo dello sterminio, ha definito “troppo doloroso” il silenzio di Pio XII.
 
Riccardo di Segni, rabbino capo di Roma, è stato più discreto e ricordando le vittime dello Shoà, ha detto che “il silenzio di Dio” “è un mistero incomprensibile”, ma “il silenzio degli uomini” è un fatto che va giudicato.
 
Benedetto XVI non ha fatto polemiche e nel suo discorso, ha parlato dei “molti, anche fra i Cattolici italiani, [che] sostenuti dalla fede e dall’insegnamento cristiano, reagirono con coraggio, aprendo le braccia per soccorrere gli Ebrei braccati e fuggiaschi, a rischio spesso della propria vita, e meritando una gratitudine perenne”. E ha aggiunto: “Anche la Sede Apostolica svolse un’azione di soccorso, spesso nascosta e discreta”.
 
Il papa è arrivato verso le 16.30 (ora di Roma) nella zona dove si stendeva in passato il ghetto ebraico e dove sorge la sinagoga, detta Tempio maggiore. Egli ha onorato anzitutto la lapide che, vicino al Portico di Ottavia,  ricorda la deportazione del 16 ottobre 1943, deponendo una corona di fiori in omaggio alle vittime della Shoah.
 
Nel suo discorso in sinagoga, il pontefice ha affermato che “il dramma singolare e sconvolgente della Shoah rappresenta, in qualche modo, il vertice di un cammino di odio che nasce quando l’uomo dimentica il suo Creatore e mette se stesso al centro dell’universo”. E ricordando la sua visita del 28 maggio 2006 al campo di concentramento di Auschwitz, ha aggiunto: “i potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità” e, in fondo, “con l’annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell’umanità che restano validi in eterno”.
 
Camminando a piedi verso la sinagoga, Benedetto XVI ha incontrato l’ex rabbino capo di Roma, Elio Toaff, ormai ultra-novantenne, che aveva accolto Giovanni Paolo II nella sua prima visita alla sinagoga di Roma, il 13 aprile 1986. Il pontefice si è dunque fermato a un’altra lapide, che ricorda l’attentato del 9 ottobre 1982, ad opera di terroristi palestinesi, in cui perse la vita un bambino
ebreo di due anni, Stefano Taché e rimasero ferite decine di persone che uscivano dal Tempio maggiore dopo la preghiera.
 
Nel suo intervento, Pacifici ha ringraziato Benedetto XVI come “il primo vescovo di Roma” che rende omaggio alle “vittime del terrorismo palestinese”.
 
All’interno della sinagoga, piena all’inverosimile, l’incontro è cominciato con alcuni canti accompagnati dall’organo. Si sono susseguiti poi il saluto di Pacifici, quello di Renzo Gattegna, Presidente delle Comunità ebraiche italiane, quello di Riccardo di Segni.
 
Pacifici ha sottolineato tutte le conquiste e la crescita della comunità ebraica di Roma, dal 1870 ad oggi; ha ricordato il soldato israeliano Gilad Shalit, tenuto prigioniero da estremisti palestinesi; ha evocato “Stati sovrani” (l’Iran) che pianificano la distruzione atomica dello Stato d’Israele; ha spinto a combattere il terrorismo, al dialogo fra ebrei, cristiani e musulmani moderati, rivolgendosi anche a diversi rappresentanti islamici presenti nella sinagoga.
 
Il rabbino capo, citando esempi tratti dalla Bibbia su alcuni modi di essere fratelli (Caino e Abele; Esaù e Giacobbe; Giuseppe e i suoi fratelli;….) si è domandato come pensare e progettare l’essere fratelli fra ebrei e cristiani. E ha suggerito alcune sfide: l’impegno comune nella custodia del creato e quella della libertà religiosa da garantire in tutto il mondo. “Questo incontro – ha concluso - deve essere un esempio. Ma amicizia e fratellanza non devono essere esclusive e aprirsi al rapporto fra ebrei, cristiani e musulmani”.
 
Diverse volte, i rappresentanti ebrei hanno citato papa Giovanni Paolo II, suscitando l’applauso commosso dell’assemblea e perfino una “standing ovation”.
 
   
Nel suo discorso, Benedetto XVI ha voluto anzitutto confermare “la stima e l’affetto che il Vescovo e la Chiesa di Roma, come pure l’intera Chiesa Cattolica, nutrono verso questa Comunità e le Comunità ebraiche sparse nel mondo”. Egli ha poi ricordato le piaghe passate dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo, a cui hanno dato un contribuito anche i cristiani, ma ha anche sottolineato l’insegnamento del Concilio Vaticano II e le aperture ormai definitive da esso volute “verso il popolo dell’Alleanza”. “Possano queste piaghe – ha esclamato il papa - essere sanate per sempre!”.
 
Egli ha poi ricordato che la “vicinanza e fraternità spirituali” fra ebrei e cristiani si trovano anzitutto nella Bibbia, “il fondamento più solido e perenne, in base al quale veniamo costantemente posti davanti alle nostre radici comuni, alla storia e al ricco patrimonio spirituale che condividiamo”.
Dopo ciò egli ha elencato alcuni campi in cui è necessaria e urgente la collaborazione fra ebrei e cristiani. Per questo è necessario aiutare i cristiani a rileggere l’Antico Testamente con occhi ebraici e affermare “la centralità del Decalogo come comune messaggio etico di valore perenne per Israele, la Chiesa, i non credenti e l’intera umanità”.
Proprio partendo dal Decalogo come “la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo”, “un ‘grande codice’ etico per tutta l’umanità”, il pontefice ha tracciato alcune prospettive di lavoro comune:
 
1)      “Riconoscere l’unico Signore, contro la tentazione di costruirsi altri idoli, di farsi vitelli d’oro”. Nel nostro mondo, ha affermato Benedetto XVI, “molti non conoscono Dio o lo ritengono superfluo, senza rilevanza per la vita; sono stati fabbricati così altri e nuovi dei a cui l’uomo si inchina. Risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione trascendente, testimoniare l’unico Dio è un servizio prezioso che ebrei e cristiani possono offrire assieme”.
 
2)      Proteggere la vita contro ogni ingiustizia e sopruso, riconoscendo il valore di ogni persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio”. “Quante volte – ha aggiunto il papa - in ogni parte della terra, vicina e lontana, vengono ancora calpestati la dignità, la libertà, i diritti dell’essere umano”.
 
 
3)      “Conservare e promuovere la santità della famiglia, in cui il ‘sì’ personale e reciproco, fedele e definitivo dell’uomo e della donna, dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e si apre, al tempo stesso, al dono di una nuova vita”.
 
“Cristiani ed Ebrei – ha aggiunto il pontefice - hanno una grande parte di patrimonio spirituale in comune, pregano lo stesso Signore, hanno le stesse radici, ma rimangono spesso sconosciuti l’uno all’altro”.
Un maggiore rapporto fra queste due tradizioni renderà la luce di Dio “più vicina per illuminare tutti i popoli della terra”.
 
E ha concluso con una nota dal tono universale: “Invoco dal Signore – ha detto - il dono prezioso della pace in tutto il mondo, soprattutto in Terra Santa. Nel mio pellegrinaggio del maggio scorso, a Gerusalemme, presso il Muro del Tempio, ho chiesto a Colui che può tutto: “manda la tua pace in Terra Santa, nel Medio Oriente, in tutta la famiglia umana; muovi i cuori di quanti invocano il tuo nome, perché percorrano umilmente il cammino della giustizia e della compassione”.