Faisalabad, giovane cristiano condannato all’ergastolo per blasfemia
di Fareed Khan
Imran Masih, commerciante di 26 anni, incriminato per aver bruciato pagine del Corano. Prima dell’arresto aveva subito torture da una banda di musulmani. Attivisti cattolici: accuse montate ad arte, ricorreremo per “salvargli la vita”. E chiedono riforme costituzionali e il bando dei partiti religiosi, sull’esempio del Bangladesh.
Faisalabad (AsiaNews) – Il tribunale di Faisalabad ha condannato all’ergastolo Imran Masih, giovane cristiano, per aver oltraggiato e dissacrato il Corano. Il giudice aggiunto Raja Ghazanfar Ali Khan ha emesso la sentenza in base all’articolo 295-B del codice penale pakistano – meglio noto come legge sulla blasfemia – perchè il 26enne avrebbe bruciato “di proposito” versetti del Corano e un libro in arabo, per “fomentare l’odio interreligioso e offendere i sentimenti dei musulmani”. Peter Jacob, segretario esecutivo della Commissione nazionale di Giustizia e Pace (Ncjp) della Chiesa cattolica, promette battaglia “per salvargli la vita”.
 
Il primo luglio 2009 Masih, commerciante di professione, è stato arrestato dalla polizia con l’accusa – montata ad arte – di aver bruciato pagine del Corano. In precedenza un gruppo di musulmani lo aveva torturato in maniera brutale. L’11 gennaio il giudice lo ha condannato al carcere a vita, che sconterà nella prigione federale di Faisalabad dove è al momento rinchiuso. Il tribunale ha inoltre comminato una pena aggiuntiva a 10 anni di carcere duro e il pagamento di 100mila rupie (poco più di 800 euro), in base alla sezione 295-A del codice penale.
 
Peter Jacob, segretario esecutivo di Ncjp, pur non criticando in modo aperto la sentenza, parla di decisione “non buona” e di “mancanza di libertà” del sistema giudiziario. L’attivista cattolico annuncia ricorso all’Alta corte e promette che “faremo del nostro meglio per salvargli la vita”, perché tutti questi casi di blasfemia “sono montati ad arte”.
 
La Commissione cattolica chiede anche “serie riforme Costituzionali e legali” per sradicare l’estremismo e l’abuso della religione nella vita politica del Pakistan. “La religione – si legge in un documento di Ncjp – è il maggior pretesto nelle mani dei partiti politico-religiosi, che hanno ricoperto un ruolo di primo piano nel trascinare la nazione sull’orlo del baratro”.
 
Mons. Lawrence John Saldanha e Peter Jacob, presidente e segretario esecutivo di Ncjp, sottolineano che “il Pakistan dovrebbe prendere esempio dal vicino Bangladesh”, dove i giudici hanno messo al bando i partiti che si rifanno alla religione. “Gli affari di Stato e la politica – sottolineano i leader cattolici – vanno trattati in modo indipendente, non coperti dal manto della religione” perché finiscono con l’isolare le minoranze e negare i loro diritti.
 
La legge sulla blasfemia è stata introdotta nel 1986 dal dittatore pakistano Zia-ul-Haq ed è diventata uno strumento di discriminazioni e violenze. La norma è prevista alla sezione 295, comma B e C, del Codice penale pakistano e punisce con l’ergastolo chi offende il Corano e con la condanna a morte chi insulta il profeta Maometto. Secondo dati di Ncjp sono quasi 1000 le persone incriminate. Essa costituisce anche un pretesto per attacchi, vendette personali o omicidi extra-giudiziali: 33 in tutto, compiuti da singoli o folle inferocite.