Tokyo (AsiaNews) - Anche un terremoto può offrire, alla fine, elementi positivi. Il Giappone, già ritenuto esempio mondiale di come si debbono affrontare gli eventi sismici, ha dimostrato che quello dei terremoti è un settore nel quale si possono ancora introdurre interventi che fanno diminuire il costo in vite umane di un cataclisma.
E' quanto emerge dal bilancio del fortissimo sisma che alle 17.51 del 23 ottobre ha colpito la provincia di Niigata, nel nord-ovest del Giappone.
Famosa per il suo autunno placido e sereno, meta, in questa stagione, di molti turisti che vi si recano per un po' di svago, quest'anno è stata colpita da una eccezionale scossa tellurica che alla prima scossa ha raggiunto il grado 7, il massimo secondo la scala sismica usata in Giappone, alla quale, nel giro di mezz'ora, si sono susseguite altre due scosse di intensità poco inferiori. "Yushin", cioe' "scosse secondarie", è la parola che gli abitanti della zona colpita non vorrebbero sentire ma che i bollettini ufficiali continuamente ripetono. Nel giro di una settimana ne sono avvenute centinaia, alcune di intensità notevole (grado 5) e gli specialisti dell'università di Tokyo asseriscono, senza preamboli, che il fenomeno puo' durare non meno di un mese.
All'ora del terremoto un convoglio del "treno proiettile" correva nella zona alla velocità di 210 chilometri all'ora. È deragliato lasciando contorte le rotaie. È il primo deragliamento in 40 anni, da quando, cioè, il famoso treno è stato lanciato (1964). Grazie ai sofisticati servizi di emergenza nessuno dei 151 passeggeri ha subito seri danni fisici. Hanno solo dovuto camminare due ore nell'oscurità per poter raggiungere la stazione piú vicina.
Sono stati 36 i morti finora accertati, 2.383 i feriti, e circa 90.000 gli sfollati.
Il grande terremoto che nel gennaio del 1995 colpì Kobe aveva ucciso 6433 persone, ma la differenza delle cifre è dovuta, oltre al fatto che quello di Niigata ha colpito alcuni paesi di campagna non molto popolati, alla maggiore velocità e attenzione dei soccorsi.
È risaputo che il 10% delle vittime del terremoto di Kobe è stato dovuto al ritardo nei soccorsi. I giapponesi hanno fatto tesoro della lezione. Ne ha dato l'esempio soprattutto l'esercito che in Giappone, per non contraddire la Costituzione anti-militarista, viene eufemisticamente indicato con la signa SDF (Forza di autodifesa). Ogni anno il quartiere generale programma 400 esercitazioni di salvataggio, il triplo di quanto avveniva prima del 1995. Inoltre ogni distretto è impegnato a raccogliere immediatamente informazioni nel caso di terremoti superiori al grado 5. Nel giorno del terremoto di Kobe il primo elicottero della SDF per la ricognizione è decollato un'ora e 28 minuti dopo la prima scossa. Questa volta si è alzato in volo solo 7 minuti dopo. La forza di pronto intervento dei militari è stata massiccia oltre che rapida: 2.700 soldati, 1000 veicoli e 80 tra aerei e elicotteri.
Il corpo dei vigili del fuoco di Tokyo in questi anni ha formato un'equipe composta di medici, infermiere e personale specializzato nella ricerca e salvataggio di persone intrappolate nelle macerie delle case o sotto i detriti delle frane. Sono immediatamente intervenuti nelle zone colpite. Ad essi molte persone debbono la vita.
Non meno generosi sono stati i volontari. Si sa che in questi casi lo zelo poco illuminato puo' fare piú male che bene. Ma ad attenderli c'erano organizzatori provetti che li hanno usati per l'assistenza ai deboli e agli anziani: distribuzione di cibo, allestimento di tende, conforto psicologico e guida per gli esercizi ginnastici. A coloro che sono colpiti da un disastro si raccomanda infatti di distendere gli arti, di bere molta acqua per evitare le condizioni che scatenano la "sindrome della classe economica", cosiddetta perchè colpisce i passeggeri che viaggiano lunghe ore in aereo, appunto, nello scarso spazio dei sedili della classe economica. Una donna di 43 anni è morta dopo aver passato la notte chiusa nell'automobile. Il decesso è stato dovuto a stress e a una trombosi alle vene causata dall'essere stata parecchie ore in posizione rattrappita. Anche in questa occasione, spaventati dal susseguirsi delle scosse telluriche, non preparati al disagio di vivere con gli altri in ricoveri di emergenza, molti hanno deciso di trascorrere le notti dormendo nelle automobili. Il lavoro di convincimento, conforto e assistenza da parte dei volontari è stato prezioso.