Lhasa (AsiaNews) – Il presidente cinese Hu Jintao si è recato ieri a Jiegu, epicentro del devastante terremoto che settimana scorsa ha colpito l’altopiano del Tibet, per incoraggiare le squadre di soccorso e commemorare i morti. Nel frattempo, la lista delle vittime continua a crescere – oltre 1.700 secondo le fonti ufficiali, più di 2.000 secondo i locali – e il Dalai Lama chiede a Pechino di poter visitare l’area. Una visita che, scrive a sorpresa un analista del South China Morning Post, “il governo cinese dovrebbe permettere”.
Il leader cinese è arrivato sui monti della provincia del Qinghai dopo aver interrotto il viaggio ufficiale in America Latina; prima di lui, anche il primo ministro Wen Jiabao si è recato nella zona, colpita il 14 aprile da un sisma di magnitudo 6,9 Richter. I funzionari incaricati dei soccorsi dicono di aver provveduto alle necessità fondamentali degli oltre 12mila feriti e 100mila sfollati. Ma aggiungono che sarà complicato riportare la zona alla normalità, data anche l’altitudine di 4mila metri in cui si trovano i campi profughi.
Parlando ai sopravvissuti, Hu Jintao ha chiarito che “la priorità è quella di salvare vite. Ogni vita deve essere considerata come un tesoro”. Tuttavia si assottigliano le possibilità di trovare ancora sopravvissuti, nonostante ieri sia stato tirato fuori dalle macerie un anziano che ha passato cento ore sepolto. Grande dolore anche per i funerali delle prime vittime, che sono state cremate insieme su delle enormi pire nonostante il buddismo tibetano, prima religione dell’area, prediliga delle cerimonie funebri singole.
I monaci dei diversi monasteri dell’altopiano – autorità riconosciute per la popolazione locale – avvertono che il numero delle vittime potrebbe crescere di molto. Sono centinaia, dicono, i sopravvissuti che portano i corpi dei loro cari direttamente nei monasteri, senza registrarli presso le autorità, proprio per evitare le cerimonie funebri comuni. Il Dalai Lama, dal suo esilio di Dharamsala, ha inviato le proprie condiglianze e chiesto al governo cinese di potersi recare nell’area, suo luogo di nascita.
Il leader religioso, che loda le autorità di Pechino per il pronto intervento e per le operazioni di soccorso al momento in atto nella zona, scrive infatti: “Chiedo alle comunità monastiche, ai giovani e a tutti i tibetani di continuare a sostenere le famiglie di chi ha perso tutto. Vorrei potermi recare di persona a Kyigudo, zona colpita dal terremoto dove sono nato io e il defunto Panchen Lama, per portare il mio conforto ai sopravvissuti”.
Commentando questa richiesta, l’analista Wang Xiangwei scrive sul South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong : “La richiesta del Dalai Lama non verrà ascoltata da Pechino, e questo è un peccato. Come già successo per il terremoto disastroso del Sichuan, due anni fa, il livello di unione nazionale è altissimo oggi in Cina: il governo non dovrebbe temere l’influenza del Dalai Lama, ma anzi sfruttare questa occasione per dimostrare al Paese e al mondo che i cinesi di etnia han e i tibetani possono vivere e lavorare insieme”.