Stallo politico a Baghdad, tra riconteggio dei voti e “esigenze” dei potenti vicini
di Layla Yousif Rahema
La formazione del nuovo governo è resa difficile dalla necessità di capire chi ha vinto davvero le elezioni e dal dover tenere conto dei “desideri” non solo degli Stati Uniti, ma anche di Iran e Arabia Saudita.
Baghdad (AsiaNews) – Mentre le forze di sicurezza irachene portano a casa uno dei maggiori successi contro la rete terroristica di al Qaeda, la politica si dibatte ancora per designare un chiaro vincitore delle elezioni parlamentari e dar vita così a un governo solido. Che non scontenti nessuno: dagli Usa, a influenti vicini quali Iran e Arabia Saudita.
 
Ieri il premier uscente Nuri al-Maliki ha fatto sapere che i servizi segreti iracheni hanno ucciso il leader di al Qaeda in Iraq, Abu Ayyub al-Masri, e Abu Omar al-Baghdadi, presunto capo di un gruppo affiliato ad al Qaeda, lo Stato islamico d'Iraq. L'operazione è avvenuta a Thar-Thar, un'area rurale a ovest di Baghdad, considerata una base della rete di bin Laden. “La morte di questi due terroristi è un colpo potenzialmente devastante ad al Qaeda in Iraq”, hanno detto le forze Usa in Iraq in un comunicato.
 
Elezioni, un risultato ancora da chiarire
 
Intanto si approfondisce lo stallo politico: la decisione ieri di riconteggiare le schede a Baghdad, sancita dalla commissione incaricata delle verifiche dei voti, rende concreta la possibilità di un cambiamento nei risultati finali delle elezioni del 7 marzo. Nella sua prima seduta, la Commissione ha accolto la richiesta di riconteggio manuale delle schede, mossa dell'Alleanza per lo Stato di diritto, la coalizione di al Maliki, finora battuta per soli 2 seggi (91 contro 89) da Iraqiya - l’alleanza laica (appoggiata dai sunniti) dell’ex primo ministro Iyad Allawi. Secondo le valutazioni della Commissione elettorale, l'operazione richiederà una settimana. Solo dopo che saranno stati giudicati tutti i ricorsi e gli appelli presentati, i risultati elettorali potranno essere inviati alla Corte suprema federale, che deve certificarli. A questo punto potrà prendere il via l’iter che porta alla formazione dell'esecutivo, con la convocazione del nuovo Parlamento entro 15 giorni dalla certificazione.
 
Pressioni e aperture da Teheran
 
Chiunque emergerà come vincitore ufficiale, nel formare il nuovo governo, non potrà ignorare le “esigenze” di potenze esterne: non solo Stati Uniti, ma anche e soprattutto Iran e Arabia Saudita. Nella settimana scorsa Teheran è stata il crocevia di diverse visite di politici iracheni: dal presidente iracheno, il curdo Jalal Talabani, al radicale sciita Muqtada Sadr. Sia Allawi, che al Maliki, appartengono entrambi alla maggioranza sciita e sanno perfettamente l'importanza del ruolo dei partiti religiosi per mettere insieme una coalizione in un Parlamento che dovrà anche eleggere il nuovo capo di Stato. Lo stesso Allawi, la cui formazione è appoggiata fortemente dai sunniti, non può fare a meno della Repubblica islamica. Soprattutto nell'ottica di una possibile alleanza del blocco sciita con quello della Kurdistan Alliance, che raggruppa la maggioranza delle formazioni politiche curde.
 
Così, è lo stesso ex premier a lanciare un messaggio di apertura a Teheran. Durante la visita nella capitale iraniana di una delegazioni di Iraqiya, ha fatto dire chiaramente ai suoi uomini che non verrà permesso “l'utilizzo del territorio e dello spazio aereo iracheno per lanciare un attacco contro l'Iran”. In risposta l'Iran fa sapere, tramite il suo ambasciatore a Baghdad, che il nuovo governo iracheno dovrà includere anche la formazione di Allawi e quindi anche i sunniti. Dichiarazioni che riflettono un cambiamento di posizione da parte della Repubblica islamica, che in precedenza era a favore di un governo composto unicamente da sciiti.
 
L'influenza dei vicini arabi
 
Ma nei giochi iracheni sono sempre più coinvolti anche gli Stati arabi della regione. Alcuni Paesi finora rimasti dietro le quinte e più discostati, come l'Arabia Saudita (che non ha ancora riaperto l'ambasciata a Baghdad), adesso devono prendere una posizione decisa, soprattutto in vista del graduale ritiro americano a partire da settembre. A Riyad, per colloqui con re Abdullah e altri leader regionali, si è recato la settimana scorsa il presidente Talabani in persona. Alla vigilia del voto era volato in Arabia Saudita anche Allawi, figura a cui la casa dei Saud ha sempre guardato con più favore rispetto al rivale Maliki, più vicino a Teheran.
 
L'Iraq rimane un “importante campo sul quale Arabia Saudita e Iran giocano la loro competizione per la supremazia regionale – spiega Alireza Nader, esperto iracheno della Rand Corporation, con sede a Washington – ad ogni modo la storia ha mostrato che entrambe le potenze sono molto attente a non far esplodere la loro rivalità in un conflitto armato”.