Lhasa (AsiaNews) – Gli abitanti di 11 villaggi nei pressi di Madang, cittadina al centro della provincia tibetana del Gansu, si sono scontrati nel fine settimana con la polizia dopo una lunga protesta contro l’inquinamento di un cementificio vicino, che tra l’altro occupa illegalmente un’area dedicata al culto religioso e una strada (nella foto). Quattro manifestanti sono stati arrestati mentre altri 15 sono in ospedale con ferite da arma da fuoco: gli agenti hanno infatti aperto il fuoco contro le persone.
Lo scontro è stato denunciato da una cittadina cinese di etnia han, che ha confermato l’arresto dei 4 tibetani avvenuto lo scorso 15 maggio. Secondo l’International Campaign for Tibet, che ha raccolto la denuncia, i tibetani si sono riuniti fuori dalla Amdo Cement per chiedere maggiori controlli sugli scarichi. Avevano preparato anche una petizione, da presentare alle autorità. Subito dopo l’assembramento è intervenuta la polizia in assetto anti-sommossa, che ha aperto il fuoco: 15 persone sono state colpite.
La petizione, dice il South China Morning Post, chiede alle autorità di intervenire contro l’inquinamento selvaggio del cementificio, che tra l’altro “deve spostare i suoi capannoni da una zona riservata alla religione e da una pubblica strada”. La Amdo Cement, una volta totalmente statale, è stata costruita nel 1985: nel 1998 è stata privatizzata, e da allora è divenuta una delle maggiori della provincia del Gansu.
I manifestanti protestano per le condizioni di vita in generale, seriamente compromesse dalla produzione industriale: “Per chi vive qui, la produzione agricola è impossibile. I campi danno di meno, una riduzione che arriva anche al 60%. Le pecore e le mucche non mangiano più l’erba, e questo ci costringe a comprare cibi industriali a prezzi altissimi”.
Sembra dunque peggiorare la situazione del Tibet e delle province cinesi a maggioranza tibetana. Dopo le manifestazioni anti-governative della primavera del 2008, infatti, il governo ha iniziato a stringere la propria morsa sulla popolazione, che reagisce con proteste pubbliche sempre più frequenti. L’ultima decisione in ordine di tempo ha stupito persino gli analisti cinesi.
Pechino ha deciso infatti di vietare la stampa e le fotocopie di documenti scritti in tibetano. Per le autorità centrali, la decisione è “necessaria per prevenire attività illegali”. Ma gli studiosi del Tibet, di etnia han, hanno contestato la decisione che – secondo loro – “riuscirà soltanto a peggiorare le cose, fomentando le proteste e l’odio”.