La rivoluzione sociale dei paria in India
di Piero Gheddo
La redenzione dei paria inizia nel primo Ottocento con la presenza dei missionari cristiani: il Pime ad esempio è in India (Andhra Pradesh) e in Bengala dal 1855. Oggi l’Andhra Pradesh ha 80 milioni di abitanti e la Chiesa 12 diocesi (sei delle quali fondate dal Pime) con circa un milione e mezzo di cattolici.
L’eliminazione del sistema delle caste, e in particolare della qualifica di “intoccabili”, i “fuori casta” è un problema culturale, ma anche politico, che l’India si trascina fin da prima della sua indipendenza. Nel Tamil Nadu si è svolta domenica la prima conferenza del Tamil Nadu Untouchability Eradication Front, il Fronte per l’eliminazione degli intoccabili. Il cuore del problema si può trovare nelle parole del segretario del Partito comunista indiano, Prakash Karat: “Ancora dopo 62 anni di indipendenza, ciò che troviamo nella nostra società è che la casta supera ogni classe”.
 
L’incontro, che ha visto la presenza di numerosi gruppi di difesa dei diritti umani, ha visto anche l’affermazione che va superata l’ulteriore discriminazione della quale soffrono i dalit cristiani, che, a motivo della loro fede, si vedono esclusi anche dalle “quote” che sono riservate nella pubblica amministrazione ai fuori casta.
 
Eppure, come spiega un missionario di grande esperienza, come padre Piero Gheddo, proprio al cristianesimo si devono le prime affermazioni sull’uguaglianza di tutti gli uomini.
 
 
La grande rivoluzione sociale che sta attraversando l’India del “boom” economico, in Occidente “non fa notizia”: 160 milioni di “fuori casta”  (“paria” , “dalit” o “harijans”) hanno preso coscienza della loro dignità di uomini e chiedono conto dei loro diritti calpestati. La Costituzione indiana del 1948 ha abolito le caste, ma nell’India rurale (il 70-75%  del miliardo e più di indiani) la separazione e discriminazione castale sono ancora vive.
 
Un secolo fa, e anche meno, era molto peggio. Padre Luigi Misani, missionario del Pime in Andhra Pradesh scrive nel 1934: «Se volete avere un’idea della situazione dei fuori casta, leggete la storia degli antichi schiavi. La condizione del paria è peggiore di quella di un cane, libero di entrare e sdraiarsi nelle case e guai a chi lo tocca! Al paria tutto è vietato e se qualcuno lo bastona, si ride e si incoraggia a rincarare la dose. Prima della venuta degli inglesi non c’erano né corti né giudici per i fuori casta. Un paria veniva ingiustamente privato di qualche bene? ‘‘Mi cittamu prabuvu’’, diceva, ‘‘sia fatta la tua volontà, o signore, ma vedi di essere misericordioso’’. La pena di morte era riservata a un fuori casta che avesse osato entrare in case di bramini o in qualche tempio. Nessun paria poteva andare a scuola e nessuno pensava di aprire scuole solo per i paria. Di qui la grande ignoranza e degradazione morale. Erano così abituati a simile stato, che non pensavano neppure di poter migliorare”.
 
Oggi si tende a dimenticare che la redenzione dei paria inizia nel primo Ottocento con la presenza dei missionari cristiani: il Pime ad esempio è in India (Andhra Pradesh) e in Bengala dal 1855, la regina Vittoria è incoronata “Imperatrice di tutte le Indie” (India, Pakistan. Bangladesh, Myanmar e Sri Lanka) nel 1876. I missionari cattolici e protestanti si rivolgono subito ai fuori casta e ai tribali costruendo scuole. Il principio era: “Prima la scuola e poi la chiesa”.  A poco a poco, il paria capisce d’essere egli pure un uomo e incomincia a prendere coscienza della sua dignità e dei suoi diritti. Intanto anche il governo coloniale introduce in India leggi che migliorano la condizione umana e aboliscono tradizioni religioso-culturali contrarie ai diritti dell’uomo, come la vedova che si immolava sul rogo del marito.
 
Negli anni venti del Novecento, con il movimento nazionalista e la carismatica figura del Mahatma Gandhi inizia il movimento politico di redenzione dei paria. Gandhi entra in politica nel 1919 con la sua “non collaborazione non violenta” contro gli inglesi ed ha uno strepitoso successo. La presa di coscienza del diritto alla libertà da parte del popolo indiano andava di pari passo con il secondo fine della “rivoluzione non violenta” di Gandhi: la lotta per l’indipendenza politica, unendo tutto il popolo contro gli inglesi, doveva far superare le divisioni di casta e di religione, ad esempio fra indù e musulmani, per unirli nell’unica India indipendente. Questo secondo scopo ebbe meno successo del primo, ma non mancarono risultati positivi: ad esempio, i “dalit” (paria) e i tribali presero coscienza dei propri diritti anche politici.   
Uno storico indiano scrive: “La forte impressione suscitata dalla carità cristiana nella mentalità tradizionale dell’India può essere illustrata da numerose citazioni di autori e capi non cristiani. L’eroismo di sollevare le popolazioni più umili dalla palude della loro degradazione e del loro avvilimento era un fatto sconosciuto nell’India del passato” ( Louis D’Silva, “The  Christian Community and the National Mainstream”, Poone 1986, pag. 50).
    
Negli anni venti e trenta inizia in Andhra Pradesh il movimento di massa dei fuori casta verso la Chiesa cattolica. Pronti a combattere e morire per l’indipendenza, i paria capiscono che possono combattere anche per i loro diritti. Ma in quel tempo il nazionalismo indiano di Gandhi contro l’Inghilterra era dominato dalla gente di casta, che non voleva i fuori casta. “I paria dell’Andhra Pradesh - scrive padre Augusto Colombo - anche grazie alle scuole fatte dai missionari, presero coscienza della loro identità, ma non sapevano come esprimerla in campo politico e sociale. Così si accorgono che i missionari cristiani sono gli unici schierati al loro fianco. Di qui il desiderio di abbracciare una religione che educa alla dignità di ogni uomo e all’uguaglianza di tutti gli uomini, come figli dell’unico Dio. Non è stata la Chiesa a convertire i paria, ma i paria che sono entrati nella Chiesa. Il movimento era stato preparato dal Pime, che fin dal secolo scorso si era dedicato ai poveri, aprendo scuole, dispensari, ecc.”.    
Uno dei tanti esempi iniziali di questo processo, che incomincia nel campo sociale e finisce in quello religioso, è il caso di Denduluru e di padre Silvio Pasquali (1864 - 1923 ). Sconfitti nella loro ribellione contro gli antichi padroni di casta che ancora li opprimono (con l’aiuto della polizia), i fuori casta del villaggio ricorrono al missionario che, scrive un confratello, “nella sua profonda umanità e spirito soprannaturale, è stato per essi più di un migliaio di volumi sulla teologia della liberazione”. Uomo di preghiera, ma anche uomo di azione, affabile e gentile ma anche fermo contro ogni ingiustizia, Pasquali ricorre al governo che in linea di principio era favorevole a distribuire le terre incolte dei latifondisti ai poveri. Così, nonostante la resistenza dei proprietari che si vedono sfuggire la mano d’opera a basso prezzo, combatte coraggiosamente la sua battaglia con le autorità e nei tribunali e ottiene la requisizione e la distribuzione delle terre ai senza terra: non con metodi violenti, ma secondo il diritto vigente. Il risultato, in termini ecclesiali, sono i 400 battesimi a Vatlur nel 1918 e i 700 a Denduluru nel 1921. Padre Pasquali amministra più di mille battesimi all’anno.
    
Con questo e altri casi simili, il movimento dei paria verso la Chiesa diventa consistente. Oggi l’Andhra Pradesh ha 80 milioni di abitanti e la Chiesa 12 diocesi (sei delle quali fondate dal Pime) con circa un milione e mezzo di cattolici in grande maggioranza fuori casta. Ormai anche i paria studiano e crescono come gruppo sociale e la discriminazione nei loro confronti diminuisce e quasi scompare nelle città.