Danni da terapia con cellule staminali. La prudenza non guasta mai
di Augusto Pessina*
La morte di una persona trattata con le staminali ha creato dibattito tra gli studiosi. Occorre cautela, perché sebbene esistano dati molti promettenti in vari campi applicativi, non per tutte le tipologie di staminali è stata dimostrata la reale potenzialità terapeutica. Soprattutto è necessario tenere al primo posto il bene della persona.
Milano (AsiaNews) - Il “Journal of the American Society of Nephrology” ha dato notizia, il 17 giugno, della morte per infezione di un paziente che era stato trattato con inoculo renale di cellule staminali autologhe di origine emopoietica. Nel rene del paziente è stata riscontrata una massa proliferativa anomala ti tipo mai descritto finora.
 
La notizia ha creato un certo dibattito perché sembra raffreddare l’ottimismo nei confronti del potenziale terapeutico delle staminali. Studiosi canadesi e tailandesi l’hanno commentato invitando alla cautela. In realtà, nei laboratori di ricerca emergono ogni giorno nuove informazioni sulle caratteristiche biologiche delle cellule staminali e molte di queste hanno consentito, per alcune patologie, il loro impiego nell’ambito di trials clinici sperimentali al fine di poterne accertare la capacità applicativa. Per la produzione di cellule a scopo terapeutico (in particolare le cellule staminali mesenchimali) sono già sorte anche in Italia le cosiddette “cell factories” in grado di allestire elevate quantità di cellule in condizioni GMP, da utilizzare negli studi clinici.
 
Occorre, però, ricordare e sottolineare che, sebbene esistano dati molti promettenti in vari campi applicativi, non per tutte le tipologie di staminali è stata dimostrata la reale potenzialità terapeutica e per molte patologie essa è stata dimostrata solo in modelli sperimentali animali, ma deve ancora essere traslata in studi clinici. 
 
Un punto particolarmente delicato è il fatto che l’utilizzo di una cellula come “farmaco” richiede non solo che sia efficace, ma anche che l’efficacia corrisponda a precisi standard di sicurezza. Ciò sia per limitare effetti indesiderati e collaterali, ma soprattutto per evitare due fondamentali rischi: quello infettivo e quello neoplastico. Il caso sopra riportato è emblematico anche per il modo stesso che si è utilizzato per ottenere cellule staminali autologhe dal sangue del paziente (stimolazione con citochine).
 
Evitando di entrare in merito ad aspetti tecnici occorre quindi ribadire, ancora una volta, che solo uno studio approfondito della biologia cellulare delle staminali permetterà di poter disporre di un sistema terapeutico sicuro o comunque a rischio valutabile e limitato per il paziente.
 
Per ogni strada nuova da percorrere occorre preventivare pazienza e tempo. Soprattutto occorre evitare tappe forzate perchè le scorciatoie sono sempre pericolose. Inoltre, la cosiddetta “biomedicina” deve essere meno “bio” e più “medicina”, cioè più attenta a ciò che la “cura medica” impone. Per questo il problema va affrontato innanzitutto dal punto di vista antropologico perché solo dentro questo orizzonte “ la scienza” può trovare la sua giusta collocazione e vocazione.
Se il bene della persona umana non è messo al primo posto, il rischio del degrado diventa elevato perché altri criteri ne prendono presto il posto 
 
*Presidente Associazione Italiana di Colture Cellulari
Dipartimento di Sanità Publica, Microbiologia, Virologia
Università degli Studi di Milano