Scioperi, la Honda ha perso il 37% delle vendite in Cina
La serie di scioperi incrociati che ha colpito le fabbriche cinesi del colosso giapponese inizia a dare i primi segnali visibili: crollano vendite e produzione. Gli operai sentono di aver vinto la loro battaglia, ma gli analisti avvertono: senza il sostegno di Pechino, tutto tornerĂ  come prima.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La produzione della Honda Motor e le vendite del gruppo in Cina sono scese lo scorso mese del 37%, a seguito della serie di scioperi che hanno colpito le industrie del colosso giapponese. Questa flessione è il primo indicatore materiale dell’impatto che gli scioperi, che si sono susseguiti e non accennano a diminuire, hanno e avranno sulla produzione industriale in Cina.

Il primo sciopero della serie ha colpito proprio la Honda: il 17 maggio scorso, gli operai di un’azienda di Foshan che produce trasmissioni hanno incrociato le braccia per protestare contro i salari bassi e l’eccessivo carico lavorativo. L’esempio di questi “pionieri” è stato seguito dai lavoratori di altre aziende Honda e da quelli di Toyota e Nissan. Praticamente tutte le proteste si sono concluse con la vittoria degli operai, che hanno ottenuto sensibili aumenti di salario.

Nello specifico, la Honda ha perduto il 10% del campo vendite: un dato in controtendenza, se si pensa all’aumento del 33% nel campo della vendita di automobili che si è registrato lo scorso mese nel Paese. Il 37% in meno della produzione totale si scontra inoltre con un declino generale che si attesta però al 10%. Gli analisti della Jp Morgan, guidati dal giapponese Kohei Takahashi, sostengono che la mancata produzione di circa 20.000 veicoli potrebbe risultare in una perdita stimata intorno ai 12 miliardi di yen, circa 110 milioni di euro.

Nel frattempo, i lavoratori continuano con le loro proteste. Secondo i quotidiani di Hong Kong, “è diffusa nella classe operaia la sensazione di aver vinto una lunga battaglia contro un nemico molto forte”. Ma Pattie Walsh, analista della questione lavorativa in Asia, avverte: “I risultati ottenuti non avranno vita lunga, se il governo di Pechino non decide di applicare le leggi sul lavoro che sono in teoria in vigore nel Paese. In altre parole, se il governo non sposa la loro causa tutto tornerà come prima”.