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Il conflitto sulle Senkaku-Diaoyu e la fine della supremazia Usa sui mari
di Maurizio d'Orlando
Una reazione sproporzionata di Pechino verso Tokyo per un piccolo peschereccio; il silenzio per l’atto di guerra della Corea del Nord, nell’affondamento della Cheonan. Pechino, con i suoi missili, è ormai in grado di sfidare le porterei Usa.
Milano (AsiaNews) - I recenti contrasti tra Cina e Giappone ruotano attorno all’arresto del comandante cinese di un peschereccio[1], sorpreso ad operare illegalmente nelle isolette Senkaku (per i cinesi: le Diaoyu) e di conseguenza arrestato (o più precisamente posto in stato di fermo di polizia). Le isole sono da sempre parte del Giappone e perciò una semplice infrazione amministrativa non dovrebbe davvero far notizia. I due Paesi, inoltre, sviluppano ormai da anni un fortissimo interscambio commerciale e sono legati da uno strettissimo intreccio tecnologico e manifatturiero. L’episodio dovrebbe essere in sé ancora più insignificante, se paragonato a quanto di ben più grave si è verificato non pochi mesi fa nell’area.
Appena sei mesi fa, un deliberato atto di guerra messo in atto dalle Forze armate di una paese formalmente in stato di tregua, non di pace, è stato posto sotto il più completo silenzio, sia da parte dei governi interessati che, di conseguenza, della stampa internazionale. Si tratta dell’affondamento di una nave da guerra, la Cheonan[2], della marina militare della Corea del Sud da parte di unità della Corea del Nord.
Il collegamento con la Cina è evidente: il regime di Pyongyang è uno Stato fantoccio voluto dalla Cina, un paese privo di una tradizione autonoma, in cui la dittatura comunista non potrebbe sopravvivere più di pochi mesi senza il continuo sostegno del regime comunista cinese. Da più di sessant’anni, invece, la Corea del Sud è sostenuta dagli Usa, in un’alleanza di cui fa parte anche il Giappone. In questo è la contraddizione che se ne osserva: una coalizione fa di tutto per mettere a tacere una grave aggressione, l’altra di una vicenda a dir poco minimale fa di tutto per “suscitare sentimenti nazionalisti e antinipponici”, come ha affermato il governo giapponese .
AsiaNews ha già riferito che secondo la stragrande maggioranza degli osservatori questi contrasti sino-giapponesi non colpiranno molto i rapporti economici, fondati sulla reciproca interdipendenza e interesse. Bisogna perciò chiedersi le ragioni vere per cui Pechino fomenta il revanscismo su quattro pesci ed un pugno di isolette. I soliti osservatori ben informati hanno pronta una risposta: Pechino deve placare i furori di gruppi nazionalistici interni. Francamente, anche se il regime cinese fosse una democrazia compiuta, la spiegazione appare un po’ debole, data la sproporzione degli interessi apparentemente in gioco.
La realtà è che gli equilibri, non solo economici, nel Pacifico stanno radicalmente cambiando e molto rapidamente. Il predominio americano nell’area, la “Pax Americana”, è in discussione. Non sono mutati solo i rapporti di forza economici; anche in termini strategico-militari sono variati gli equilibri.
Dal 1945, ed in particolare da dopo la guerra del Vietnam, l’egemonia Usa si è fondata sul controllo dei mari e sulla supremazia marittima, più che sulla deterrenza nucleare, come in Europa nel confronto con l’Unione Sovietica. Strumento del dominio americano delle onde del Pacifico è stata finora la flotta, con al vertice le splendide portaerei. Si è di recente parlato del forte sviluppo della marina cinese e del suo proiettarsi verso i mari blu. In termini meno poetici, la flotta cinese non è più solo concepita per la tutela del perimetro costiero cinese ed eventualmente per lanciarsi alla riconquista di Taiwan – provincia ribelle dell’Impero o Stato autonomo, a seconda dei punti di vista. Secondo però la gran parte degli osservatori militari passeranno almeno una ventina d’anni prima che il grado di competenza, esperienza ed addestramento degli equipaggi della flotta cinese dei mari blu possa eguagliare il livello di quella americana dislocata nel Pacifico.
Un missile cinese, a basso costo, il Dong Feng 21D (DF 21D), minaccia però questo predominio americano[3].
Secondo Anne Gearan[4], esperta di problemi strategici, si tratta di un missile basato su postazioni di terra in grado di colpire con elevata precisione, a dieci volte la velocità del suono, obbiettivi in movimento come una portaerei fino ad una distanza di più di 1.500 chilometri, penetrando le difese delle più avanzate portaerei. Lungo i 18mila chilometri della linea costiera cinese, un sistema basato sui Dong Feng 21D basterebbe a tenere alla larga quelle portaerei che sono finora state il vanto e lo strumento chiave, dal 1945, della flotta americana del Pacifico. Si tratta, è vero, di un arma prevista per essere dotata di una carica convenzionale, anche se non se ne può escludere che venga adatta per trasportare un ogiva nucleare. Anche con una carica convenzionale, però, per il Giappone e per Taiwan le implicazioni sono comunque chiare e davvero significative: a breve, entro al massimo un paio di anni, l’ombrello americano potrebbe facilmente perdere la sua funzione.
Basterebbe una salva di tre DF 21D per affondare un portaerei, come la “George Washington”, inviata a proteggere Taiwan da un’ipotetica invasione cinese. Lo afferma la citata corrispondenza della AP (vedi nota 4) che afferma di riferire gli effetti della salva sulla portaerei americana da un articolo della Xinhuanet (ma non ne fornisce i riferimenti).
Il primo DF 21D perforerebbe lo scafo, provocando incendi e bloccando le attività di volo. Il secondo metterebbe fuori uso i motori nucleari e sarebbe accompagnato da attacchi aerei. Il terzo colerebbe a picco la portaerei. Stiamo forse assistendo alla fine del predominio americano in Estremo Oriente e all’inizio di quello cinese?