Sinodo: difficile, ma indispensabile, il dialogo per la convivenza con l’islam
I primi interventi dei vescovi mediorientali evidenziano la necessità del dialogo con i musulmani, l’urgenza del rispetto dei diritti civili, a partire dalla libertà religiosa, il dovere della comunione tra le Chiese cristiane, e in primo luogo tra i cattolici, l’importanza della formazione.
Città del Vaticano (AsiaNews) - La necessità del dialogo con i musulmani, l’urgenza del rispetto dei diritti civili, a partire dalla libertà religiosa, il dovere della comunione tra le Chiese cristiane, e in primo luogo tra i cattolici, l’importanza della formazione. I problemi dei cristiani del Medio Oriente cominciano a emergere al Sinodo negli interventi dei vescovi che vivono in quella regione, dopo che ieri il patriarca Naguib, relatore generale, ne aveva tracciato un primo quadro.
 
Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, in Iraq, ha sottolineato l’esigenza di un impegno serio per il dialogo con i musulmani. “Senza dialogo con loro non ci sarà la pace e la stabilità. Insieme possiamo eliminare guerre e tutte le forme di violenza. Dobbiamo unire le nostre voci per denunciare insieme il grande affare economico del commercio delle armi”.
 
Riferendosi in particolare alla situazione dei cristiani iracheni, mons. Sako ha sostenuto che “il mortale esodo che affligge le nostre Chiese non potrà essere evitato. L'emigrazione è la più grande sfida che minaccia la nostra presenza. Le cifre sono preoccupanti. Le Chiese Orientali, ma anche la Chiesa universale, devono assumersi le proprie responsabilità e trovare con la comunità internazionale e le autorità locali scelte comuni che rispettino la dignità della persona umana. Scelte che siano basate sull'uguaglianza e sulla piena cittadinanza, con impegni di partenariato e di protezione. La forza di uno Stato si deve basare sulla credibilità nell'applicazione delle leggi al servizio dei cittadini, senza discriminazione tra maggioranza e minoranza. Vogliamo vivere in pace e libertà invece di sopravvivere”.    Di “bicchiere mezzo pieno” nella convivenza tra cristiani e musulmani “che ha 14 secoli” ha parlato mons. Elias Nassar, vescovo di Sidone dei Maroniti, in Libano, sostenendo che “gli alti e bassi della convivenza sono spesso legati a problemi politici”. “L’attaccamento dei musulmani alla preghiera, al digiuno, alla carità, al pellegrinaggio incitano i loro vicini cristiani a divenire più praticanti”. Al tempo stesso, la vicinanza dei cristiani “fa riflettere i musulmani, ad esempio su una lettura critica del Corano”. Ci sono, a suo avviso, iniziative che possono essere prese in un regime laico, come quello siriano, come è accaduto, durante l’Anno paolino, in campi come il teatro, la cultura e lo sport.
 
Un altro arcivescovo libanese, Paul Youssef Matar, di Beirut dei Maroniti ha evidenziato le “responsabilità” di cristiani e musulmani. “Figli di questa terra da sempre – ha detto – i cristiani debbono sentire che non debbono forgiare un destino limitato a se stessi, ma piuttosto un destino comune con i loro partner”. Il loro far parte del mondo arabo “non dovrebbe far perdere loro né i loro diritti, né le loro libertà, ma confermarli, in comune con i diritti e le libertà dei loro concittadini”.
 
Quanto ai musulmani, maggioritari, “debbono dare il loro posto ai concittadini cristiani. Non si tratta solo di una presenza nella società, ma dell’elaborazione di un progetto di questa società e anche della sua guida”
 
C’è anche una responsabilità delle potenze occidentali, che dovrebbero riparare alla ingiustizie commesse in passato. Ne trarrebbero beneficio anche i cristiani della regione, ingiustamente identificati con esse. Gli stessi cristiani d’Occidente e del mondo intero, dovrebbero esprimere la loro solidarietà sforzandosi di conoscere di più i loro fratelli del Medio Oriente e “esercitare una pressione sull’opinione pubblica del loro Paese e sui loro governanti per ristabilire la giustizia nei rapporti con il Medio Oriente e el’islam e aiutare il mondo a lbrarsi del fondamentalismo e condurlo alla moderazione.
 
L’esigenza della comunione è stata invece al centro dell’intervento di mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei Latini (Iraq). Essa “è il cuore della nostra identità ecclesiale, la dinamica dell’unità e della molteplicità delle nostre Chiese. Da essa dipende la nostra presenza e il nostro futuro, la nostra testimonianza e il nostro impegno”. Ma “la comunione è contraddetta soprattutto dal confessionalismo”. “I riti si sono trasformati in confessioni”. “le nostra Chiese sono invitate a sciogliersi da questa eredità storica per ritrovare il modello della comunità di Gerusalemme”.
 
Un aspetto particolare, infine, è stato segnalato da mons. Salim Sayegh, vicario patriarcale di Gerusalemme dei Latini per la Giordania, che ha parlato delle sette “che provocano una grande confusione dottrinale”. “In Giordania, ad esempio, ci sono una cinquantina di sette, cinque delle quali hanno più pastori attivi che tutte le chiese cattoliche e ortodosse insieme”. Per “conservare il deposito della fede” occorre “visitare con insistenza le famiglie” per “spiegare, difendere, seminare, vivere e aiutare a vivere la fede cattolica”. “Occuparsi seriamente della formazione cristiana degli adulti”, “sensibilizzare le scuole cattoliche alla loro missione di scuole cattoliche”.